India Himalaya

Sri Lanka

Quasi un’appendice geografica del subcontinente indiano, lo Sri Lanka ne ha sempre respinto l’egemonia e il grande poema epico cingalese “Mahawansa” è tutto un susseguirsi di gesta eroiche, battaglie e scontri contro i tentativi di invasione dell’ India meridionale “..simili a demoni che succhiano il sangue e gli portano via tutta la sostanza che contiene..” Un conflitto antico che si è proiettato alla soglia del terzo millennio e che contrasta con la pace che avvolge da sempre i visitatori di questa splendida isola.

Il popolamento dello Sri Lanka è antichissimo e gli ultimi gruppi tribali di cacciatori nomadi “Vedda”, che sopravvivono nell’ immensa area del parco Yala, discendono dai popoli originari del subcontinente indiano, poi spinti nelle zone più isolate dalle successive migrazioni nel neolitico e dalle grandi invasioni ariane che dall’ Asia centrale dilagarono in India portando un civiltà avanzata che produsse l’ induismo, una delle più antiche tra le grandi religioni della storia che domina la vita e la società indiana da quattromila anni.

Incrociata dalla principale rotta della “Via delle Spezie” dell’ Oceano Indiano verso il sud est asiatico, l’ isola divenne un importante centro commerciale e culturale, ma fu con la vittoria sui Tamil e la fondazione del grande regno cingalese da parte del leggendario sovrano Dutugemunu che lo Sri Lanka creò una delle culture asiatiche più originali ed affascinanti che si completò secoli dopo con l’ introduzione del buddismo ad opera del re Tissa nel 247 d.C.

L’antica capitale Sri Lanka

L’ antica capitale Sri Lanka di Dutugemunu Anurhadhapura divenne uno dei maggiori centri buddisti asiatici e si erge magnificamente nella foresta con le testimonianze dell’ antico splendore , un vastissimo sito archeologico che continua a “vivere” come importante luogo di pellegrinaggio buddista in un’ atmosfera unica dove passato e presente si confondono. e dove ogni cosa ha il suo profondo significato.

Le “Pietre Lunari” scolpite ai piedi della scalinata centrale dei templi “Viharn” rappresentano piante di loto stilizzate che ricorrono nella più alta simbologia buddista, le misteriose processioni di animali vanno seguite da sinistra a destra: un elefante, un leone, un toro per poi ricominciare la successione simbolica di “forza”, “potenza”, “saggezza” e l’’ elefante simbolo di saggezza apre e chiude sempre la sequenza. Il fregio più interno raffigura una fila di oche sacre “Hansa” con un loto nel becco e alle “Pietre Lunari” è sempre collegata una balaustra spesso a forma del mostruoso animale mitico “Makara” con ai lati altri esseri mitologici che sono in guardiani del tempio. Le simbologie di Anhuradapura hanno impegnato archeologi e studiosi per decenni, ma questo è il dominio del sovrannaturale, del magico mondo antico cingalese che ha resistito nei secoli nella sua unicità e suggestione incantando i visitatori.

Nel XII secolo il re Parakrama spostò la capitale Sri Lanka a Polonnaruwa , all’ epoca vi era una certa influenza della grande architettura ed arte indiana medioevale e alcuni templi della nuova splendida città ne ricordano i canoni, come il Thuparama e il Tetawanarama, mentre costruzioni minori hanno il nome di divinità hindu, come lo Shiva-Devalè e il Vishnu-Devalè. Il più ricco e suggestivo è lo splendido Sat Mahalprasada con sette piani decrescenti e il massiccio interno con un minuscolo passaggio, tipico delle lontanissime costruzioni di Angkor in Cambogia. Accanto vi è il “Libro di Pietra” Gal-Pota, otto metri di granito scolpito che riproducono il tipico manoscritto buddista su foglia di palma “Ola”, con un’ epigrafe del re Nissaka Malla del XII secolo, venticinque tonnellate di pietra trasportate dalla lontana Mihintale, la collina sacra di Anuradhapura. L’ angolo più suggestivo di Polonnaruwa è dove sorge la statua colossale di tredici metri mirabilmente scavati nella roccia del Budda Paranirvana, che riproduce l’ “Illuminato” disteso e defunto metre sta entrando nel “Nirvana”, con accanto quella del discepolo Ananda che lo piange. Attorno la quotidiana presenza di pellegrini, bonzi avvolti nelle vesti gialle, fedeli che versano ritualmente acqua sul capo da un recipiente di rame “Lotia” e depositano offerte cantilenando antiche preghiere, in un immutabile, indimenticabile atmosfera.

La “Roccia del Leone” Sigirya emerge imponente e granitica dalla pianura lambita dalla foresta, teatro di antiche tragedie, sangue e passione che trasudano dalle mura aggredite dai secoli e dai monsoni. E’ ancora il “Mahawansa” che narra la storia di Kayapa, uno dei due figli del re Datu Sena, che si ribellò al padre nel 511 condannandolo alla morte per fame e sterminandone la corte, solo il fratello minore Moggalana sfuggì all’ eccidio giurando vendetta. Il sanguinario Kayapa si trasferì a sud edificando la sua reggia fortificata e inaccessibile su questa roccia e vi si rinchiuse con il suo seguito di rinnegati e una maledizione incombente. Fu scavata un’ unica scalinata sul lato nord che conduce alla grande protuberanza a metà della roccia che la fa somigliare ad un gigantesco fungo nel cui gambo venne scavata una galleria che gira attorno sostenuta da mura fino alla piattaforma dove sorse la reggia.“..costruì quivi gallerie abbellite di figure di leoni, da cui venne il nome Sihagiri..” racconta il “Mahawansa”, dal termine in lingua Pali che indica il leone “Sinha”.

A lungo gli archeologi si affannarono a cercare questi leoni, fino a quando sulla piattaforma settentrionale venne alla luce la “Casa con la scala del leone” con quattro enormi artigli in muratura dai quali si ricostruì un’ opera grandiosa raffigurante un leone gigantesco che conteneva la scala tra le zampe. La cittadella era composta in ampie terrazze che vanno dalla “Pokuna” contenente il serbatoio all’ inizio, fino al fondo dell’ ultima gradinata all’estremità meridionale, con il centro rialzato e formato da una corte dai passaggi obbligati ce portano alla vasca principale e sui lati scale con altri piattaforme di varia dimensione per sfruttare al massimo gli spazi ricavati dalle irregolarità del monolite. La galleria occidentale venne affrescata con ventuno raffigurazioni femminili che si recano in processione al Viharn recanti offerte e fiori, ognuna con un’ ancella dalla pelle più gialla, procedono a nord, probabilmente verso il colle di Pirugadala, dove Kasyapa edificò il tempio. I volti sono curatissimi nello stile delle celebri pitture rupestri indiane di Ajanta .

L’usurpatore fece edificare Sigirya per riprodurre la Montagna Meru, origine di tutto per la mitologia hindu e buddista e sede delle divinità, nella quale le dame rappresentano le mitiche “Fanciulle delle Nuvole”, una delle opere più grandiose e suggestive del medioevo indiano cingalese. Dopo diciotto anni di splendido esilio, perseguitato dai fantasmi del suo eccidio e consumato dal terore della vendetta, Kasyapa accettò la sfida in campo aperto del fratello Moggallana e, racconta il Mahawansa, “….i due eserciti si affrontarono come due mari che hanno rotto le dighe…”, Moggallana ebbe la sua vendetta sbaragliando l’ esercito avversario e uccidendo il fratello, concludendo nel sangue da cui era nata l’ epica storia cingalese dai cupi toni di tragedia greca o elisabettiana, tra miserie e grandezze umane.

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