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Popolo Kalash

Nel Pakistan settentrionale, le valli del Chitral dominate dalla maestosa catena dell’ Hindu Kush sono rimaste a lungo isolate fino a quando vi giunse Alessandro  nella sua spedizione in Asi , tra storia e leggenda i militi  greci  rimasero in quel territorio e unendosi alle donne delle tribù locali sorse una stirpe dalle chiare sembianze diverse dalle altre, antenati della gente che si trova nei villaggi tra quelle le valli.

Infedeli Khafir

Di più antica stirpe indoariana il popolo dei Kalash dall’ epoca  rimase a lungo isolato nella regione,  poi dai musulmani vennero definiti con disprezzo  Khafir, come infedeli che non si sono mai convertiti alle fede islamica mantenendo  antiche tradizioni, forse anche miti e  riti e dei soldati greci assieme agli  arcaici costumi tribali. Il settentrionale distretto del  Chitral pakistano è l’antica terra dei Siah-Kafir dal mantello nero, come sono chiamati dai musulmani, che popolano le quattro valli del Kalasha , si aprono tra le montagne dell’ Hindu Kush, dalla più accessibile, grande e popolata valle di  Bumburet che ospita sette villaggi, altrettanti nella Rumbur , sei nella Brir, ed alcuni nella  Kunar. Oltre le  valli Kalash nel Chitral pakistano, sono anch’ essi chiamati con disprezzo Khafir  infedeli  Siah dal mantello nero,  distinti  per gli abiti da quelli dalle vesti bianche Safed  che  in gran parte popolano il  territorio noto come paese dei pagani Kafiristan nella  limitrofa regione afghana  ove si stende tra le montagne la provincia del Nuristan . Prende dalle tribù di simili stirpe, origine e antica cultura  dei  Nuristani, così ribattezzati dalla  fine del XIX secolo quando l’esercito afgano guidato dall’emiro Abdur Rahman Khan sostenuto dai britannici massacrò parte di quella popolazione, riducendo in schiavitù e costringendo alla conversione il resto chiamando la regione  Nuristan come terra della luce islamica. Sia i Siah-Posh  che i Safed-Posh  erano storicamente divisi in varie tribù come i Kalash pakistani,   popolavano le vallate tra le maestose montagne dell’Hindu Kush, che i greci di Alessandro chiamarono Paropamiso quando vi giunsero, ove si estese l’ antico popolo indoariano dei Kamboja e da essi probabilmente trassero alcune tradizioni culturali e religiose. Mentre il popolo del  Nuristan  venne obbligato alla conversione islamica, i Kalash del  Chitral hanno mantenuto le antiche tradizioni  e  oltre che dalla storia e cultura sono legati  dai dialetti dell’ idioma  indoariano Kalasha, parte della lingua dardica  con diversi termini simili sanscrito indiano.

Cultura e tradizioni

Per secoli isolati hanno condotto un’esistenza di allevatori ed agricoltori tra le valli, le mandrie portate nei pascoli alpini dagli uomini, i campi coltivati attorno ai villaggi dalle donne, coltivavano anche viti ed erano noti come consumatori di vino, questa come altre tradizioni dei khafir infedeli non consone al rigore islamico  proibita dal governo che negli ultimi anni ha distrutto parte dei secolari vigneti. La società e fondata sui clan e famiglie patriarcali, ma con grande libertà nei rapporti  tra uomini e donne, priva di  tabù o divieti, il divorzio egualitario per entrambe e la libertà di costumi femminili, tuttavia la donna possiede solo i suoi gioielli, priva di beni ereditari  trasmessi solo tra gli uomini  in famiglia con il primogenito che eredita la casa, la terra  e il gregge divisi tra gli altri  figli, mentre i  più giovani rimangono nella dimora  dei genitori. Nella loro antica divisione del lavoro gli uomini si occupano anche  della costruzione delle case, attrezzi e l’artigianato per uso familiare, mentre le donne alla cura della casa e dei figli oltre alla confezione di vimimi,  la  tessitura e il ricamo per l’abbigliamento tradizionale. Da tempo gli uomini hanno lasciato gli antichi abiti adottando l’abbigliamento Shalwarkameez pakistano, mentre le donne continuano ad indossare gli antichi abiti neri decorati e ricamanti dal tipico copricapo  Shutshut con  perle e conchiglie  ciprea , arricchiti nelle cerimonie dai  kupa di lana, con perline, cipree, , pendenti, campanelli e bottoni, tradizionalmente simboleggia la fertilità ed energia  vitale, proteggendo contro influenze maligne e viene sempre assegnata alle bambine  dallo zio materno con una cerimonia. La tradizione religiosa dei Kalash è fondata su un animismo politeista dalla ritualità legate a divinità ancestrali  maschili e femminili venerate in luoghi di culto specifici e nelle cerimonie della comunità, in parte simili al più antico induismo Vedico praticato dalle popolazioni indoariane dell’ India nord occidentale, tra le varie il supremo Khodaï creatore dell’ universo con al suo fianco  Balumain protettore del popolo e la dea Djestak simbolo della sua vitalità.  Mahendeo è protettore  della famiglia e  Sajigor del bestiame, mentre altre proteggono l’ ambiente assieme agli spiriti della natura ed  esseri soprannaturali minori che popolano le montagne, assistono nella caccia  e contro i nemici, infine gli spiriti  degli antenati che proteggono i clan e le famiglie ove i  loro discendenti devono assicurare il rispetto delle tradizioni. Secondo la leggenda lo sciamano  Dehar fu l’intermediario con l’ universo soprannaturale in  contatto divinità e spiriti  invisibili agli altri uomini riferendo le volontà divine mente leggeva il futuro,  poi con la scomparsa degli sciamani rimangono le visioni premonitrici degli anziani. Dal più antico induismo della civiltà Vedica nel sincretismo della  tradizione religiosa Kalash  è presa la divinità del fulmine, pioggia, la magia e la guerra associata ad Indra sovrana del più alto  tra i sette universi celesti Loka  ove transitano le anime nel cielo paradisiaco Svarga prima della reincarnazione, così come è ripreso il mito  del Mahān Deva che liberà il sole nel culto della divinità  Mahandeo associata allo  Shiva  Induista. Quello descritto nei primi Veda dell’ entità cosmica sacrificato dagli dei per creare la vita i Puruṣa , il  culto di Mara associata alla venerata  divinità  induista della giustizia e la morte  Yama , oltre agli esseri celesti dagli influssi benefici  simili a quelli che nell’ induismo sono noti come Gandharva e altri   divisi tra due serie di entità divine poi unite celebrati nelle grandi feste religiose. Fondamento morale ed etico è la dualità dell’Onjesta puro e l’ impuro Pragata  per un percorso di vita evitando tutte le impurità che minacciano l’equilibrio della comunità e sfuggire alle contaminazioni degli impuri traendo forza dalle divinità e spiriti  nella ritualità attraverso sacrifici e offerte propiziatorie. Le montagne e gli uomini sono nella regine alta della purezza le valli e le donne a quella bassa impura, pertanto solo gli uomini devono dedicarsi all’allevamento nei pascoli delle alture, mentre le donne alla casa, famiglia  e l’agricoltura nei  villaggi a valle e non possono salire sulle montagne, inoltre  durante il ciclo le donne devono rimanere isolate nell’ apposita casa bashali over riposare e svagarsi, adoperata anche durante e dopo il parto per un paio di settimane. Agli uomini è affidato il compito di perpetuare la discendenza degli antenati anche attraverso i beni materiali da dedicare con offerte e sacrifici  nelle cerimonie di ringraziamento per la prosperità a divinità e spiriti, oltre alle ritualità della  famiglia si celebrano le cerimonie  collettive delle comunità per la condivisione delle risorse  con ritualità e sacrifici di ringraziamento ed auspicio, assieme alla purificazione delle comunità intere come la grande festa primaverile del  Chilam-joshi. Segna l’arrivo della primavera e la prima transumanza l’ invocazione per la protezione dell’allevamento ed agricoltura, lo Joshi inizia  nel giorno  del Chir pi  con libagioni di latte, continuando nella purificazione Gulparik  dei bambini  nati dopo il Joschi in una sorta di battesimo con il latte, poi la purificazione Shishao delle donne con fumo di ginepro, infine i kasi  come depositari della tradizione celebrano con orazioni la storia degli antenati accompagnati da musica e danze che rappresentano la condivisione tra famiglie nella comunità. Nel solstizio d’inverno la grande festa del Chaoimus nota anche come  Chawmo  celebra i culti funerari assieme a quelli della fertilità, onorando la suprema divinità  Balumain dallo spirito che in questo periodo scende sulle valli, segnando  con le cerimonie del  Chawmo la fine del lavoro nei campi e la raccolta dell’anno, mentre si sacrificano capre e si eseguono danze rituali per la purificazione e  l’ appartenenza alla collettività da riconfermare annualmente. Il resto dell’ anno è scandito da altre feste cerimoniali come l’ Uchau che celebra il raccolto alla fine dell’ estate con offerte alla divinità Mahandeo, mentre a  metà ottobre si celebra il  Phoo per la fine dei raccolti autunnali e il ritorno dai pascoli alpini delle mandrie.

Tra gli ultimi Kalash

Nei miei viaggi in  Pakistan tra le sue varie regioni in  un gelido febbraio ne ricordo il percorso  sulla lunga via che parte da Peshawar  considerata tra le più spettacolari al mondo e  dal difficile accesso invernale  continuando per la  stretta via tra le montagne alla città di Chitral che prende nome dalla regione, si devia   arrancando con la jeep attraverso passo di Lowari  di solito chiuso per la via ghiacciata e le valanghe invernali, da dove si scende con una sinuosa via  sterrata per raggiungere  la cittadina di  Mirkhani , proseguendo lungo il  fiume Chitral  la via porta all’ altra cittadina di Drosh  da dove una deviazione a destra porta nel limitrofo distretto del Baltistan verso la città di  Gilgit, mentre continuando tra suggestivi ed impervi scenari invernali  fino al villaggio di Ayun nell’ omonima vallata, oltre un ponte sul fiume  si  procede tra le montagne  per raggiungere le tre  valli  Kalash di Birir, Rombur e Bumburet su impervie vie scavate sulle pareti rocciose.  La sincera e semplice ospitalità di quella gente in una delle loro case  con i bambini che chiamano al mattino  per visitare i villaggi, gli anziani alla sera a raccontare le antiche storie attorno al fuoco, le ragazze e le donne fiere nei loro costumi libere e lontane dalle cupe consuetudini islamiche della regione, all’ epoca ancora così profondamente legati alle loro secolari tradizioni che manifestavano nella quotidianità, riti e cerimonie che mi spiegavano nello spirito di chi vuole far conoscere un’antica cultura che vuole conservare. Già da tempo erano minacciati dalle  persecuzioni e le violenze contro le minoranze religiose in Pakistan  tra le comunità hindu, cristiane, sikh e altre fedi alimentate dalle leggi governative che si sono scatenate anche nelle valli del Chitral dai  talebani  pakistani oltre alle altre formazioni  musulmane  con la violenza i villaggi delle comunità Kalash. Rapine e attacchi contro le loro tradizioni culturali e religiose, profanati e distrutti antichi altari e lapidi,  già da tempo perseguitate dalle consuetudini permesse dalla legge per la  conversione forzata all’ Islam delle donne passate anche per gli uomini,  ma sono le giovani donne dall’ ambita carnagione chiara oggetto di rapimenti dai musulmani della regione e afghani per matrimoni forzati o  schiave sessuali nei bordelli. Qui, come altrove per altri popoli e culture tradizionali nel mondo, tra i loro villaggi ho cercato gli ultimi Kalash che cercano di sopravvivere legati ad antiche tradizioni come un altro popolo che rischia di estinguersi nella sua identità, anch’ esso travolto dalle imposizioni di un mondo che vuole di violentarne l’ identità culturale e la stessa esistenza.

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