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Orang Asli del Taman Negara

Alla ricerca degli ultimi aborigeni nomadi Orang Asli che sopravvivono in Malesia nella foresta del parco Taman Negara

 

Taman Negara

Viaggiando in Malesia a cercarne le ormai scarse regioni incontaminate, nel nord ovest si stende il più grande dei suoi parchi ed uno dei più vasti tra quelli asiatici, con gli oltre quattromila chilometri quadrati del Taman Negara dalla jungla che contiene migliaia di specie botaniche, popolata da elefanti, bufali, felini e varie specie di mammiferi, rettili e uccelli, uno dei massimi santuari della Natura ancora incontaminato. Quando ci sono stato la prima volta si accedeva per via fluviale risalendo il Tamberling su piroghe a motore e le quasi quattro ore di navigazione offrono già un’idea di questo ambiente estremamente suggestivo con la fitta foresta i dagli alberi giganteschi e che affacciano sul fiume. Le acque fangose disseminate da tronchi e detriti da evitare accurata­mente, poche capanne su palafitte ogni tanto emergono dalla jungla e qualche donna si affaccia curiosa a salutare, mentre i bambini si tuffano cercando di raggiungere a nuoto la piroga quando rallenta per superare i fondali più bassi. Kuala Taban è l’unico centro abitato del l’immensa area protetta con il quartier generale del parco dove un lodge con un piccolo ostello e un campeggio ospitavano i visitatori, da qui si può andare dalle semplici passeggiate nei dintorni a più impegnativi trekking nella foresta, dalle scalate dei monti coperti di jungla alle varie e proprie spedizioni nell’interno alla ricerca di specie botaniche parte della ricca flora del sud est asiatico ed animali rari che difficilmente si rivelano nella jungla. Una gran varietà di uccelli malesi delle diverse specie che sciamano tra le fronde e nelle radure gli eleganti pavoni, tra e Kuala Terenggan e Kuala Tahan si concentrano i buceri variopinti dai grandi becchi di diversi tipi come i rari bucero rinoceronte e grande bucero. Sono qui ormai rari e difficilmente avvistabili alcuni elefanti del genere asiatico e ancor meno i rinoceronti della specie sumatrensis in via di estinzione, mentre i gaur noti come bisonte indiano o seladang, alti ed imponente si aggirano nella fitta foresta lungo i fiumi in piccole mandrie guidate da una femmina più anziana, i bufali d’acqua bubalis pacificamente immersi nei fiumi, ma ad avvicinarsi diventano aggressivi. Continuando sui sentieri nella foresta si intravedono quelli che qui chiamano basindo nan tenggi noti come orsi del sole in cerca di alveari per il miele o frugando tra gli arbusti frutti ed insetti, mentre le scimmie dalla coda lunga del genere presbytini a piccoli gruppi sciamano tra alberi assieme alle altre, nel sottobosco i curiosi tapiri malesi dal lungo naso si muovono lentamente nella vegetazione cercando il cibo lasciandosi avvicinare, tra la foresta più fitta I piccoli cervidi napu si scorgono molto raramente, appaiono quelli che sembrano sambar e altri cervi selvatici che si scontrano con le corna tra loro per delimitare il territorio nella stagione degli amori ed emettendo suoni intensi che avvertono l’ avvicinarsi di predatori come la nobile e temuta tigre ormai rara. Sono poi tornato nell’indimenticabile suggestione di quella natura avvolgente, ma al tempo sopravvivevano gli ultimi gruppi nomadi degli aborigeni malesi da cercare nelle profondità della foresta, in malay sono chiamati Orang Asli, gli Uomini delle origini o Gente nativa, più genericamente uomini selvaggi e la denominazione non é lontana dalla realtà, se per aborigeni o selvaggi si intendono questi ultimi sopravvissuti che dipendendono interamente dall’ambiente naturale ove sono riusciti ad adattarsi perfettamente attraverso i secoli.

 

Gli aborigeni malesi

3MalaysiaTribOrangAsli4Tra le più antiche popolazioni asiatiche orientali, vennero definiti Negritos per l’ insolito aspetto africano dai primi navigatori spagnoli che li incontrarono, ne rimangono gli Aeta, chiamati anche Ati o Agta che ho cercato nella regione filippina di Luzon tra le zone montuose e più remote, così come nelle isole delle Andamane quel che rimane degli originari popoli abrorigeni Andamanesi che rischiano l’ estinzione, vi sopravvivono gli Ya-eng-nga noti come Jarawa , mentre nell’ isola più meridionale rimangono un centinaio di Onge. Continuando la ricerca nella penisola malese al popolo Semang appartengono le comunità dei circa millecinquecento Batek che in parte popolano la regione settentrionale e i meno di quattrocento Sabub’n definiti anche Lanoh, altri gruppi si trovano anche in territorio thailandese come i Jahai e comunità di Sakai noti anche come popolo dei Mani . La regione malese è stata popolata fin da epoche remote dagli aborigeni che ancora sopravvivono assieme agli antichi Protomalesi abitanti la regione meridionale, in quella centrale si trovano le comunità dei Senoi, mentre probabilmente i più antichi sono i Semang, in parte confinati a foresta del Taman Negara e ad essi appartengono gli ultimi Orang Asli nomadi.

Prima della colonizzazione europea, il sultanato islamizzato di Malacca ne razziava le comunità riducendoli in schiavitù e al’ epoca risale i dispregiativi semang e la definizione di schiavi sakai, in gran parte rimasero isolati fino al XX secolo per l’ intera epoca della colonia British Malaya. Dopo la seconda guerra mondiale durante la rivolta contro i dominio britannico molti guerriglieri comunisti si rifugiarono nelle zone montuose isolate abitate dagli Orang Asli e da alcuni ebbero aiuto per la tradizionale ostilità verso i malesi e gli inglesi crearono insediamenti fortificati, alcuni con spesso con cliniche o scuole, per reinsediarli ed isolarlidai guerriglieri, creando un Dipartimento aborigeno che, dopo l’indipendenza, divenne il dipartimento di Orang Asli Affairs per controllarli e convertirne le comunità all’ islamismo, Dagli anni sessanta il governo malese ha avviato una politica di integrazione degli aborigeni introducendo l’agricoltura agricola, osteggiando il tradizionale nomadismo, obbligando la lingua malese e sostituendo i capi tribali con nominati governativi. Successivamente la la politica di integrazione forzata ha assunto una connotazione religiosa ancor più accentuata del dipartimento Jheoa per la conversione islamica, mentre gran parte dei territori tradizionali sono stati occupati da piantagioni e insediamenti industriali, scacciando gli aborigeni nome del progresso e l’ economia malese in crescita. Dei poco più di centomila aborigeni malesi rimasti divisi in diciotto comunità tribali, diverse son divenute da tempo sedentarie praticando l’ agricoltura come quelle Jakun, altre la pesca come i Mah Meri e Orang Seletar che popolano zone costiere, il resto sopravvive nomade nelle foreste legati alle antiche tradizioni. Di esse sembrano essere solo due le cerimonie collettive e celebrati diversamente da una tribù all’ altra, con rituali più lunghi e completi per quelle ormai sedentarie e molto più semplici per le nomadi sopravvissute. Ai matrimoni nikah sono, di solito partecipa tutto il villaggio e i vicini mentre gli sposi devono ascoltare i consigli dei presenti alla cerimonia e gli anziani in un lungo rituale per poi festeggiare con le provviste della comunità.In occasione di decessi vengono sospese tutte le attività e secondo la tradizione chiunque sia informato di una morte e continua a lavorare è destinato ad ammalarsi o ad essere coinvolto in un disastro. Nelle cerimonie funebri i bambini vengono decorati con il pengandang tingendo le orecchie con polvere si gesso consacrata da un incantesimo, carbone sul petto, le sopracciglia elle piante dei piedi per non essere molestati dai demoni che hanno causato la morte. Il corpo del defunto viene accompagnato dalla gente del villaggio alla sepoltura e quando viene completata, la famiglia depone cibo sul sepolcro accendendo piccoli fuochi ai lati per una settimana ed uno sotto la capanna abitata in vita, celebrando un incantesimo spargendo sabbia sulle pareti per offuscare la vista agli spiriti rimasti nella casa.

 

Alla ricerca degli ultimi Orang Asli

2MalaysiaTribOrangAsli3Una piccola spedizione nella foresta del Taman Negara per cercare di incontrare tra gli ultimi sopravvissuti di una delle della più antiche popolazioni asiatiche, è stata tra le esperienze più affascinanti vissute in tutti i miei viaggi Malesia, con i responsabili del parco cercai di preparare la ricerca tracciando un itinerario approssimato e consultando le guide mi fecero capire che il proposito era molto più difficile di quanto non avessi pensato. Gli Orang Asli rimasti legati alle antiche tradizioni nomadi sono ormai ridotti a pochissimi individui organizzati in minuscoli li gruppi che si spostano in continuazione nella vasta area di jungla alla ricerca di selvaggina, timorosi e poco disponibili a contatti esterni. Gli unici che si potevano incontrare erano quelli divenuti sedentari nei dintorni di Kuala Tahan dove ottengono cibo e un minimo di assistenza dai responsabili del taman Negara e qualcuno viene an­che impiegata saltuariamente come guida. Ormai gli Orang Asli di Kuala Tahan abbandonavano il loro modo di vita tradIzionale in una fase di transizione per un rapido mutamento cul­turale, degli altri si sapeva ancora ben poco. All’alba la foresta malese appare in tutta la sua magia, la nebbia si alza lentamente scoprendo gradualmente lembi di jungla, qualche raggio di sole comincia a filtrare e la vita notturna lascia il posto a quella diurna che comincia a pulsare tra la vegetazione mentre si procede sui sentieri ben tracciati verso l’interno. Ben presto si lascia il terreno pianeggiante e si comincia a salire mentre il calore umido aumenta assieme al fastidio dagli insetti in una marcia più faticosa raggiungendo il monte Teresik con la sagoma che si erge dominando la foresta. L’ascensione non sarebbe impegnativa, ma il caldo e l’umidità si fanno sempre meno sopportabili e a tratti occorre aprirsi la strada con il machete sul terreno scivoloso, l’ ultimo tratto é più ripido e faticoso, ma la scena che si apre dalla sommità del Teresik é magnifica. Un’immensa area coperta di foresta con varie tonalità di verde disseminata da alti rilievi come il Tahan, il Perlis, il Penumpu e il Terom, lo sguardo che spazia verso un’orizzonte indefinito e tremolante dall’umidità caliginosa che si alza dalla vegetazione. Nel sottobosco fiori dai colori sgargianti contrastano con l’intenso verde delle foglie e le liane, la vita animale appare più percepibile e gli uccelli sciamano tra gli alberi più alti nel totale dominio dominio della Natura. Nella foresta le notti arrivano presto e il sole cala quasi repentinamente in tramonti indescrivibili che trasformano completamente il paesaggio, i colori, l’atmosfera, annunciando l’ora di fissare il campo e accendere il fuoco per la cena e fissare l’itinerario del giorno seguente. Ancora un giorno di cammino misurandosi sempre più con questo ambiente grandioso che svela gradualmente i suoi segreti, un fascino che quasi fa dimenticare lo scopo della marcia, ma la jungla é imprevedibile e tra la vegetazione qualche sagoma scura osserva. Poche donne e bambini guardano quasi intimoriti, sorpresi mentre raccoglievano radici e bacche selvatiche, qualche dono e l’iniziale diffidenza viene rapidamente superata, poco dopo due cacciatori tornano da una battuta sfortunata, uno indossa una vecchia e lacera maglietta avuta in una sua visita nei pressi del quartier generale del parco. Entrambe sono coperti da un perizoma e sono armati di cerbottana che sanno usare abilmente servendosi di piccole frecce avvelenate, ma solo per la caccia giacchè questi uomini selvaggi non conoscono la guerra e nessuna forma di bellicosità. E anche questa una ragione per la quale sono stati sopraffatti dalle popolazioni paleomalesi quando invasero la penisola spingendo gli Orang Asli a rifugiarsi nelle zone più inospitali e inaccessibili. Per millenni hanno conservato le loro tradizioni originarie, non hanno una vera società tribale, ma gli individui si riuniscono in piccole comunità di poche famiglie diretti dal più anziano e il più abile nella càccia, vivendo in accampamenti provvisori con semplici ripari di foglie e rami, del tutto privi di utensili e il vestiario ridotto a perizomi vegetali, sopravvivono dalla raccolta dei prodotti spontanei della foresta e della caccia con cerbottane dalle frecce avvelenate e vari tipi di trappole rudimentali ma efficaci. Quando una zona di temporaneo insediamento si impoverisce di selvaggina, il gruppo l’abbandona per cercarne una nuova, ma sempre in una vastissima area definita, lontana da ogni altro insediamento umano. Anche la vita spirituale é molto semplice, ma ancora non ben nota, se ne conoscono solo alcuni riti magici sciamanici per ingraziarsi gli spiriti della foresta, considerati spesso maligni e dominati da una divinità femminile che chiamano Ja Puden. Forse una piccola spedizione tra gli Orang Asli non aggiunge nulla di nuovo alla conoscenza di questa popolazione ormai ridotta a pochi individui, ma senza’altro è un esperienza indimenticabile e forse purtroppo destinata a non poter essere ripetuta in un futuro ormai prossimo. I piccoli uomini selvaggi che furono la gente delle origini si stanno estinguendo e quando sono tornato da quelle parti molti avevano lasciato il nomadismo fermandosi ai margini esterni del parco, gli ultimi sopravvissuti che cacciano e raccolgono ciò che la natura offre sembrano ormai persi nelle profondità del Taman Negara.

 
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