Vie dell’ Eldorado
Colombia
Dalla zona più settentrionale delle Ande,nella sierra di Santa Marta in Colombia , parte un lunghissimo itinerario ideale sulle vie dell’ Eldorado , era l’antico territorio dei Taironas fin dall’ VIII sec. dopo Cristo e molto prima che gli Incas costruissero le loro strade. Essi svilupparono una civiltà raffinata e perfettamente integrata all’ambiente naturale e nel 1976 ne fu scoperta la capitale nascosta nella foresta della sierra da Alvaro Soto Holgun, la “Ciudad Perdida”, forse una delle tante di cui parlano le leggende indios nascoste nelle zone più inaccessibili del sud America, il cui mito ancora appassiona archeologi,studiosi e viaggiatori. Tra la costa caraibica e le Ande colombiane, i Taironas avevano creato una grande quantità di piccoli centri urbani collegati tra loro da una fitta rete di strade lastricate e gradinate che permettevano di accedere alle zone più impervie della sierra,probabilmente questa popolazione ebbe contatti con le civiltà dell’America Centrale e sicuramente con quelle che si susseguirono in Sud America fino agli Incas, una popolazione evoluta e raffinata destinata al rapido sterminio con l’arrivo degli spagnoli. La cultura e le creazioni dei Taironas furono dimenticate e ricordate solo nei racconti degli indios,perse nella leggenda fino alla scoperta di Soto Halgun che ha aperto un nuovo affascinante capitolo nella storia delle civiltà precolombiane e probabilmente altri se ne apriranno tra la sierra de Santa Marta e la Patagonia seguendo le antiche vie tra storia e leggenda,le stesse che hanno portato alla “Ciudad Perdida” Taironas e prima ancora a Tirradentro e San Augustin tra le Ande colombiane. Dalla sierra di Santa Marta e l’antico territorio Taironas, uno degli itinerari dei conquistadores passava per il territorio dei Chibcha, tra i primi ad essere travolti dall’avanzata degli spagnoli e dei quali rimangono poche testimonianze architettoniche e monumentali, ma una raffinata orificeria e alcune leggende tra i discendenti sopravvissuti.Risalendo il Rio magdalena Don Francisco Jimènez de Quesada arrivò nell’ altipiano di Bogotà nel 1573 popolato dai Chibcha che, per un loro antico mito, credettero gli spagnoli di origine divina e si prodigarono in preziosi doni di oro e smeraldi attirarandone l’incontenibile e distruttiva avidità con la rapida distruzione di questo popolo sottomesso violentemente ed espropriato del loro territorio che fu suddiviso tra la soldataglia iniziandone la colonizzazione .Fu creato il vicereame di Nueva Granada e la città di Bogotà alla quale poi seguirono altri centri come Villa de Leyva da dove gli spagnoli continuarono a sfruttare gli indigeni che si avviarono all’estinzione,in meno di due secoli si ridussero a poco più di centomila,la lingua fu dimenticata e i discendenti sopravvivono mescolati ad altre popolazioni, conservando le antiche leggende del paese di “Muiscas”che si stendeva sull’altipiano con miniere d’oro e smeraldi dove gli antenati erano governati dal “Figlio del Sole” Zipa e dal “Figlio della Luna” Zaque, ma confusero demoni venuti da lontano con i loro parenti divini e ne furono sterminati. Probabilmente il mito dell’ “Eldorado” ebbe origine dalle leggende degli indigeni colombiani, viene menzionato per la prima volta dal cronista Castellanos nell'”Elegia a la muerte de don Sebastian de Belalcazar“, il conquistador che arrivò in Colombia dopo Jimènez de Quesada da Quito,dove un indios di Bogotà gli parlò della straordinaria quantità di oro e smeraldi che si trovava nella sua terra. Cominciarono le spedizioni che sconvolsero le comunità indigene sottomesse ,furono profanati templi e tombe,distrutte le case e le terre coltivate nell’affannosa ricerca dei tesori nascosti, sterminando interi villaggi che si opponevano al saccheggio indiscriminato e senza esito:iniziava l’avventurosa e violenta epopea che sconvolse le Ande e la selva dalla Colombia all’ Argentina. Più tardi il cronista Rodrìguez Freile divulgò le storie di un certo Juan ,successore del Cacique di Guatavita che, per tradizione, doveva passare sei anni isolato in una grotta prima della grande cerimonia di investitura sulla laguna di Guatavita su una barca circondato da migliaia di indigeni decorati d’oro e recanti offerte in oro e smeraldi che poi venivano gettate in acqua. Questa ed altre storie alimentarono la convinzione che le popolazioni indigene potevano disporre di enormi riserve d’oro per le loro cerimonie,decorazioni e statue che splendevano durante i riti e nei templi, miniere inesauribili e città lastricate con il prezioso metallo divennero il miraggio dei conquistadores prima e degli avventurieri poi in una frenetica ricerca nelle zone più impervie tra le Ande e la foresta seguendo antiche vie indigene ed aprendone di nuove, le “Vie dell’Eldorado“. Bogotà, la caotica capitale che conserva gli antichi quartieri coloniali spagnoli, nel celebre Museo de Oro raccoglie oggetti sacri e profani ,orificeria, statue e maschere rituali che testimoniano la raffinatissima arte delle grandi culture precolombiane ,ma indirettamente anche il motivo che ha prodotto uno dei più vasti”musei degli orrori”della storia:durante la”conquista”, in nome del prezioso metallo furono compiuti stermini e indicibili genocidi,spazzati popoli e culture nel giro di pochi anni,tutto ciò che era fatto d’oro venne fuso in lingotti trasportati a tonnellate nel Vecchio Mondo, lasciando solo desolazione e miseria tra gli indigeni.La violenta ed incontenibile avidità dei conquistadores riempì le casse della cattolicissima Spagna e riversò in Europa una massa tale di oro da produrre una delle più devastanti svalutazioni auree della storia che sconvolse l’economia produttiva del Vecchio Mondo per un certo periodo,ma gli avventurieri continuarono a lungo nella loro frenetica ricerca dell'”Eldorado”, spingendosi sempre più dove nessuno aveva osato. Sulla via dei conquistadores sorsero splendide cittadine come Villa de Leyva,quasi a compensare la distruttiva avanzata nel mondo precolombiano,con i vecchi edifici che si stendono dolcemente nella vallata tra i quali il tempo sembra essersi arrestato all’epoca dei primi coloni,dei cavalieri e gli “hidalgos” di Spagna spinti dai debiti in patria alla conquista del Nuovo Mondo. La via procede tra le propaggini settentrionali delle Ande lungo il fiume Magdalena nella zona sacra ai precolombiani che vi edificarono le loro necropoli con le fantastiche statue simili a demoni, esseri mitici il cui aspetto terrificante non è riuscito ad impressionare gli avidi conquistadores che hanno marciato travolgendo tutto ciò che trovavano nel territorio di San Augustin, dove le antiche statue demoniache create da una delle più affascinanti culture indigene ormai impressionano solo qualche turista, ma continuano a guardare con i loro occhi allucinati il resto del continente che si stende immenso a sud oltre il confine colombiano e l’equatore.
Ecuador
Entrata in Ecuador,la via procede per la capitale Quito con i suoi edifici,i quartieri e le chiese coloniali che testimonia splendidamente come,oltre a distruggere,gli spagnoli hanno saputo creare stupende città che ancora conservano il loro fascino e una suggestiva atmosfera comune a tutti i centri urbani coloniali sudamericani,Villa de Leyva,Quito,Arequipa,Cuzco,La Paz,Cordoba ed altri ancora con le loro calli lastricate e i vecchi palazzi di pietra che cercavano di riprodurre la vecchia e sanguinaria Europa in un altro mondo che non poteva sopravvivere ad una storia che non gli apparteneva. Poco fuori da Quito c’è un cartello che indica”0°0°0°”,”La mitad del mundo”,il punto esatto dove passa la linea immaginaria dell’equatore, una caratteristica geografica che, assieme alle banane e al possesso delle isole Galapagos, ha sempre caratterizzato questo piccolo paese nel resto del mondo,ma che racchiude una varietà ambientale ed etnica ancora poco nota, e il cui territorio costituì la principale via di penetrazione alla conquista dell’intero continente.Da Quito la strada “panamericana” si arrampica ad oltre 3000 metri verso la provincia di Ibarra e la regione chiamata de “Los Lagos” per la quantità di splendidi laghi alpini che la caratterizzano, costeggiando il lago San Pablo, ai piedi del maestoso cerro Imbarura, si ha il primo approccio con l’ “anima indigena”di questo paese raggiungendo Otavalo. Il piccolo centro è noto per il suo mercato animato dagli indios Otavalo,fin dall’epoca precolombiana abilissimi artigiani e commercianti,che hanno saputo resistere con la loro “diplomazia commerciale” anche agli spagnoli e la cui presenza nei più lontani mercati sudamericani è sempre considerata garanzia di elevata qualità. Con una pista di montagna si può raggiungere la zona dei laghi di Mojanda ai piedi dei massicci di Fuya Fuya e Yanahurco, costeggiando le lagune di Caricocha, Ruarmicocha e Chiriacu si procede a nord incontrando le piccole comunità degli indios Cotacachi, Mojanda e Atuntaqui, discendenti dei Caros che si opposero tenacemente all’invasione degli Incas dai quali furono poi sconfitti in una furiosa battaglia sul lago Yaguracocha, “Il Lago di Sangue”. A causa dell’ostilità delle popolazioni sottomesse, gli Incas deportarono in Ecuador gruppi indigeni più fedeli dal lontano Titicaca,tra i quali gli antenati dei Salasasca che vivono in piccole comunità agricole tra le montagne ove sfuggirono ai conquistador,rimasti ostili a qualsiasi contatto esterno,lungo le piste andine si riconoscono dal copricapo a tese larghe e dal poncho nero caratteristico per il lutto in seguito all’uccisione dell’Inca Atahualpa da parte di Pizarro e dei suoi “diavoli bianchi”.Un triste ricordo vivo anche nella vicina provincia del maestoso massiccio vulcanico di Pichincha,dove le povere comunità degli indios Carapungo ,Zambiza e Ynayom si sono rifugiate in un ambiente inospitale durante la conquista spagnola e che continuano ostinatamente a sfruttarne le aride terre per le loro modeste coltivazioni.
Via dei vulcani
Verso sud comincia una delle strade di collegamento incaiche percorsa dai conquistadores che procede lungo la suggestiva “Via dei Vulcani” sulla dorsale andina dominata da una lunga serie di massicci vulcanici unica al mondo,tra i quali emerge l’imponente Cotopaxi, il più alto vulcano attivo della terra con i suoi 6500 metri,che da secoli minaccia il piccolo villaggio di Saquilisi manifestandosi in tutta la sua drammatica bellezza di notte quando il ribollire della lava infuoca il cielo,dimora di antichi spiriti indigeni.La regione è popolata dagli indios Puruhaes, i cui centri di Licito, Pungala e Cabadas da sempre convivono con eruzioni e terremoti,preferendo la furia della natura a quella dei conquistadores ai quali sono sfuggiti in questa zona,conservando le loro tradizioni e costumi precolombiani,quasi un museo etnico vivente di un’epoca travolta in pochi anni dall’arrivo di Pizarro. A sud della cittadina di Latacunga la via prosegue per Ambato e il santuario della “Virgen Agua Santa” nel quale convergono pellegrini indios dai vari villaggi andini in quella mescolanza di antiche tradizioni pagane precolombiane e cattolicesimo popolare dalle strane e suggestive cerimonie che caratterizza la religiosità indigena in tutta l’America. La città è dominata dai 6300 metri del maestoso Chimborazo ed è celebre per il gigantesco mercato del lunedì che può accogliere fino a ventimila indios provenienti da ogni angolo della regione,nella vicina Riobamba il mercato attira gli indigeni per la presenza di medici e cavadenti improvvisati,ciarlatani dai farmaci miracolosi e imbonitori che offrono indecifrabili prodotti in lingua quechua,ma soprattutto i “brujos” che propinano rimedi della medicina tradizionale precolombiana.Poco distante,sul lago Colca,mentre ancora erano vivi gli echi delle violenze dei conquistadores,gli spagnoli costrurono la Capilla de la Virgen de la Balbanera, la prima chiesa cattolica in Ecuador,dove gli indigeni consultano il sacerdote dopo il “brujo”di Riobamba cercando rimedio ai loro mali secolari. Spingendosi a sud est, a piedi sugli antichi sentieri segreti tracciati dagli indios per sfuggire all’avanzata dei conquistadores sulla Via dei Vulcani, si accede in un territorio ancora poco conosciuto della provincia di Tungurahua dominato dai massicci del Sangay, Galgalan, Ayapungo e Soroche, con qualche giorno di marcia si scende nella fertile valle di Cayabamba per riprendere la via a Guamote,piccola cittadina coloniale del XVI° secolo in gran parte distrutta da un terribile teremoto nel 1797 con il quale gli dei si vendicarono degli spagnoli,secondo la tradizione indigena. Dal piccolo centro di Alausi la “Via dei Vulcani” scende verso la pianura occidentale, il clima freddo e asciutto andino cambia nell’umida calura tropicale che favorisce le piantagioni di banane, cacao e caffè dove gli spagnoli cercarono di far lavorare gli indios come schiavi,stroncati a migliaia dal clima e da un lavoro a loro sconosciuto. I prodotti delle piantagioni vengono caricati dalle navi sul rio Guyas fino al suo sbocco nel Pacifico a Guayaquil che si stende caotica e tropicale con il suo porto animatissimo di bastimenti da tutto il mondo che caricano tonnellate di banane per i mercati internazionali e dal cui aeroporto partono i voli regolari per le isole Galapagos,uno degli ultimi grandi “paradisi naturalistici” del mondo.
La selva
Ad oriente la via dei conquistadores sprofonda nell’immensa selva amazzonica affrontata per la prima volta nel 1541 da Francisco de Orellana, luogotenente del fratello di Pizarro Gonzalo, alla ricerca di spezie e cannella che non trovò,poi si spinse su un fiume alla ricerca di cibo entrando nel rio Napo che serpeggia nella jungla fino a gettarsi nel maestoso Amazonas nella zona di Iquitos in Perù. Trovò indios ostili i cui guerrieri combattevano assieme alle loro donne e il grande fiume ignoto divenne il “Rio delle Amazzoni”, la leggendaria spedizione di Orellana ne seguì l’intero corso sempre nella foresta fino alla immensa foce che si getta nell’Atlantico da dove raggiunse la colonia dell’isola di Cubagua vicino Trinidad, compiendo una delle più temerarie ed avventurose esplorazioni nella storia della “conquista”,ottenendo dal re di Spagna il permesso di colonizzare gli immensi territori attraversati dall’Amazonas, ma naufragò e perì nel delta che aveva violato.La prima parte della via di Orellana scende dalla cordigliera orientale di Cuenca fino all’avamposto di Secua nel territorio degli indios Shuaras lungo la cordigliera del Cucutù dove gli spagnoli trovarono gli affluenti del Napo tra le miriadi di corsi d’acqua che serpeggiano e si incrociano nella jungla tra i quali il rio Mangostiza che penetra nella zona delle comunità Shuaras più isolate. Tutta la regione amazzonica ecuadoriana oltre la cordigliera orientale è popolata da numerosi gruppi indios,alcuni dei quali molto isolati che hanno conservato antichi costumi e tradizioni, come i Cofanes del rio Aguarico, i Secoyas, i Tetes e i Sionas del Cuyabeno, i Zaparos, gli Orejones e i temibili “riduttori di teste” Jivaràros, con i quali si scontrarono molte spedizioni che seguirono quella di Orellana nella vana ricerca dell'”Eldorado”
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