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Machiguengas

I Machiguengas vivono riuniti in gruppi più o meno grandi di nuclei familiari organizzati in villaggi autosufficienti, generalmente poco lontano dalle sponde dell’Alto Urubamba, e Alto Ucayali.La struttura del villaggio è simile a quella riscontrabile fra altre popolazioni amazzoniche: una grande estensione strappata alla esube­rante vegetazione della foresta con le capanne costruite ai margini, lasciando un ampio spazio interno per le cerimonie, le riunioni collettive e l’essiccazione dei prodotti agricoli (caffè, cacao). Le capanne sono generalmente a pianta quadrangolare; differentemente dai vicini Campas (con i quali sono imparentati). le abitazioni machiguenga possiedono quasi sempre pareti e rappresentano probabilmente un’e­voluzione di un tipo originario di «capanna-riparo» costituita solo da un tetto sostenuto da pali, ancora in uso tra le popolazioni più prossime ai Machiguengas, come i Campas e i Piros.Il tetto è semispiovente, generalmente di fibre vegetali, mentre la struttura e le pareti sono in legno: si tratta di sottili pali piantati che riempiono gli spazi tra un palo di sostegno ed un’altro; l’uso di chiodi è raro e limitato dalla loro reperibilità mediante lo scambio con i centri di colonizzazione amazzonica. Generalmente i pali vengono strettamente legati con robuste liane o fibre vegetali. L’interno è costituito da un unico vano con al lato una piattaforma rialzata più o meno grande che serve da giaciglio comune per la notte e da spazio per i bambini più piccoli durante il giorno. Completamente assente qualsiasi tipo di mobilia e decorazioni interne, spesso vi è un altro piccolo piano rialzato fatto con paletti di legno legati assieme che serve per tenere il cibo conservato (carne, pesce. manioca, ecc.) isolato dal pavimento, che è sempre in terra battuta e quindi veicolo di insetti. formiche e piccoli roditori. Al centro, vi è il focolare che rappresenta il punto più importante della capanna. attorno al quale il nucleo familiare si riunisce alla sera: un tempo era alimentato in continuazione, attual­mente viene acceso solo per le operazioni culinarie, data l’introduzione di metodi rapidi di accensione e dei fiammiferi presso le comunità più prossime ai centri di colonizzazione e missioni. La cucina, gestita dalle donne. presenta importanti mutamenti dovuti anche essi agli scambi con quei centri: la tradizionale pietra di cottura, ad esempio, è spesso sostituita da pentole e graticole di metallo.

Nelle comunità che ho esaminato direttamente ho notato la com­pleta promiscuità tra donne, uomini e bambini nelle ore notturne, l’uso dell’amaca mi è apparso molto limitato, soprattutto per il riposo diurno, mai per il sonno notturno al quale è adibita la piattaforma rialzata. All’interno del villaggio non ci sono capanne comunitarie per cerimonie e riunioni, contrariamente alla grande maggioranza dei gruppi amaz­zonici; generalmente queste avvengono nello spiazzo contenuto nell’a­rea dell’abitato, all’aperto. Ci sono invece capanne più lontane e isolate nella foresta per ritualità particolari delle quali parlerò più avanti. La struttura del villaggio non segue criteri particolari nell’ubicazione delle abitazioni (capanna del capo. dell’uomo-medicina, ecc.) e raramente si trova una costruzione adibita a deposito alimentare come ho invece rilevato presso popolazioni vicine all’area machiguenga.L’artigianato machiguenga, come tra gli altri gruppi amazzonici, non è molto ricco e articolato, tuttavia presenta elementi di maggiore varietà rispetto agli altri.Nessun gruppo machiguenga pratica la nudità, come è invece co­stume di altre popolazioni amazzoniche; l’abbigliamento consiste in rudimentali tuniche maschili e femminili in fibra vegetale o, più rara­mente, in lana; pertanto si è sviluppato un tipo molto elementare di attività tessile effettuata con tecniche di intreccio o con l’uso di fusi, simili a quelli usati dalle popolazioni indie della vicina «sierra» peru­viana, probabilmente importati in tempi recenti. Ancora più recente è invece l’importazione della lana, quasi sempre già filata, reperita dai Machiguengas nell’attività di scambio con i centri di colonizzazione.

Compito delle donne, come la tessitura, è l’attività ceramica, limi­tata all’esecuzione di vasi e recipienti di piccole dimensioni in argilla cotta al sole, spesso decorata con disegni geometrici eseguiti con parti­colare perizia. Presso le comunità che ho esaminato l’attività ceramica non si avvale di particolari tecniche e strumenti; il vaso viene eseguito modellandolo a mano con una notevole abilità che si tramanda al pari dei disegni delle decorazioni, per i quali vengono adoperati colori ve­getali limitati al bianco, nero e rosso, stesi con piccoli pennelli ottenuti con i peli di scimmia o altri animali. E ipotizzabile che l’attività cera­mica si sia diffusa relativamente di recente nell’area dell’Alto Ucayali­-Urubamba, soprattutto tramite i contatti con gli Shipibos della riva sinistra del Medio Ucayali, popolazione che ha sviluppato sorprenden­temente tale arte, forse ereditata dalle grandi civiltà precolombiane che, contrariamente a quanto si crede comunemente, avevano contatti e rapporti continuati con molte popolazioni della «selva».Una importante attività artigiana è quella relativa alla costruzione di imbarcazioni fluviali adatte ad affrontare le tumultuose acque de!­l’Urubamba e Alto Ucayali, spesso caratterizzate da rapide violentissi­me. Il materiale è dato dai tronchi di un albero chiamato lopa o pa/o de ba/sa, da qui la denominazione corrente dell’imbarcazione con ba/sa.

E’ un’albero di rapida crescita, leggero e molto resistente, diffusissimo in Amazzonia, in molte zone la sua produzione spontanea è aumentata con apposite piantagioni alle quali si dedicano molte tribù come fonte di reddito. Quando la pianta raggiunge un certo livello della crescita, dalla corteccia si ottiene un materiale molto resistente, flessibile e leg­gero, che oltre alla costruzione di snelle imbarcazioni, serve ad altri usi per i quali necessitano le qualità di questo legno (costruzione di oggetti quotidiani, materiali da costruzione).

Per le costruzioni di imbarcazioni maggiori sono adoperati grandi tronchi scavati, che possono raggiungere anche una notevole lunghezza e contenere fino ad una decina di pas­seggeri.Oltre che per la costruzione di capanne e imbarcazioni, il legno è il materiale per un’altro interessante manufatto, il manguarè, un’impor­tante strumento musicale e di comunicazione a percussione. Si sceglie un tronco particolarmente adatto, quindi lo si svuota accuratamente formando una efficace cassa di risonanza nella cavità con una sottile apertura longitudinale che conferisce alla percussione un suono parti­colarmente gradevole e musicalmente molto ben controllabile. Oltre che come strumento di comunicazione nella foresta, gli indios lo utilizzano come principale strumento musicale nelle loro feste. Il manguarè ac­compagna sempre i canti e il suo suono particolarmente intenso èpercepibile da notevole distanza e accentua la sfrenatezza delle danze eseguite sotto l’effetto di bevande inebrianti e droghe.La particolare struttura di questo strumento produce una grande vibrazione continua che raggiunge una eccezionale intensità sonora che, in base alla frequenza delle rapide percussioni, aumenta o diminuisce. Quando le condizioni atmosferiche sono favorevoli, il suono del man­guarè può essere udito a oltre 30 chilometri e molto di più se l’apparato viene installato su un corso d’acqua e il suono prodotto nella notte, quando nella foresta i molteplici rumori diurni sono molto attenuati o del tutto scomparsi.L’attività artigianale comprende anche oggetti quotidiani e deco­rativi eseguiti con piante, fibre vegetali, piume di uccelli, ossa di ani­mali, quasi tutti compito femminile, mentre la lavorazione del legno (capanne, imbarcazioni, tamburi ecc.) e la fabbricazione di armi è compito esclusivamente maschile: solo nella ceramica l’attività è co­mune ad entrambi i sessi.

L’arma più tipica dei Machiguengas è l’arco con le frecce sia per la caccia che per la guerra, più raramente la mazza, diffusissima invece tra molte altre popolazioni delle foreste sudamericane, quasi del tutto as­sente il giavellotto e sconosciuta la cerbottana. Le tradizionali punte di freccia in legno indurito sono state sostituite da punte di metallo rica­vato dagli scambi, dato che la metallurgia è limitata alla lavorazione e non alla produzione dei metalli, generalmente senza l’ausilio del fuoco, ma solo con la modellazione per percussione.Presso le comunità che ho contattato non vi è uso di punte avve­lenate nè per la caccia nè per la guerra, sebbene siano conosciute per le proprietà tossiche letali molte specie vegetali. L’arco per la caccia è più piccolo di quello bellico, le frecce hanno invece una lunghezza consi­derevole e sono molto efficaci anche per selvaggina di grosse dimen­sioni: l’arco per la guerra ha una lunghezza media che oscilla tra cm. 160 e 180, in legno flessibile e piatto non molto teso, spesso decorato con piume colorate di uccelli e pappagalli.L’equipaggiamento bellico si avvale a volte anche di mazze che vengono tenute appese alla vita, mentre il machete, di recente intro­duzione, è usato esclusivamente per sfoltire la vegetazione nel disboscamento o per aprire sentieri di caccia, solo occasionalmente per gi scontri. Naturalmente, quando si parla di attività bellica, per i Machiguengas è da tenere presente che la loro area di insediamento è stata da tempo pacificata e gli scontri sono rarissimi e limitati ad alcuni episod soprattutto di autodifesa nei confrontii delle bande di razziatori Piros Campas, questi ultimi piuttosto temuti e definiti waiyiri, «assassini», da Machiguengas.La dieta consiste generalmente in manioca, tuberi e frutti selvatici ma soprattutto yuca che accompagna sempre ogni pasto ridotta in una poltiglia solida. L’integrazione alimentare avviene principalmente con prodotti della caccia e della raccolta. tuttavia l’attività venatoria di molte comunità si è ridotta notevolmente a favore della coltivazione d caffè e cacao, per i quali negli ultimi anni è aumentata la richiesta da parte dei grossi centri di colonizzazione più prossimi, mentre la coltivazione della coca appare molto limitata.Questi prodotti vengono consumati in misura ridotta, ma sono scambiati con prodotti alimentari, utensili, indumenti ed altro; la merci di scambio più richiesta dai Machiguengas consiste in alimenti vari tabacco, coltelli, utensili vari, coperte, indumenti, cordame e a volti qualche vecchio fucile, peraltro difficilmente ottenibile. Da qualche tempo l’integrazione alimentare dei tradizionali cibi si è arrichita di quei prodotti ricavati dallo scambio con le comunità meticce amazzoniche tuttavia ciò sembra ancora avere un importanza relativa, rispetto quelli tradizionali.

Personalmente tra tutti gli alimenti che mi sono trovato ad offririre in dono a individui delle comunità che ho contattate, ho notato una buona accoglienza a zucchero, sale, carne secca, legumi, discreta a cioccolato e dolciumi vari, ma un rifiuto pressochè totale a scatolame cibi conservati dal sapore sconosciuto ai miei occasionali ospiti.La cacciagione consiste generalmente in armadilli, tapiri, cervidi tartarughe, più raramente scimmie e mai rettili: la selvaggina viene d solito arrostita direttamente sulla fiamma senza l’aggiunta di condi menti, ma molto speziata, a volte senza neanche togliere le interiora che costituiscono una ghiottoneria; spesso parte delle carni vengono fatte essiccare e a volte affumicare per la conservazione.

La pesca è praticata su piccola scala, quasi sempre è un’attività individuale e abbastanza produttiva, con l’ausilio di armi, reti e qualche volta con arco e frecce adoperate con grande abilità e precisione dagli adolescenti: è sconosciuta la particolare tecnica, tanto diffusa in Amazzonia, dell’avvelenamento di piccoli tratti di fiume o specchi d’acqua.

Quando viene scelto un nuovo appezzamento,esso viene ben deli­mitato, quindi si procede ad una particolare tecnica di diboscamento: si taglia parzialmente il fusto di tutti gli alberi dell’area in oggetto, poi si abbatte uno o più alberi tra i più grandi che, cadendo, manda a terra anche quelli più piccoli incisi precedentemente. Gli alberi restanti, il sottobosco e i cespugli vengono accuratamente eliminati fino a creare lo spazio voluto, dopo di che vi è una specie di dissodamento e quindi la piantagione dei vegetali da coltivare. L’unico attrezzo impiegato in tale operazione è il bastone da scavo. La tecnica dell’incendio per diboscare, diffusa altrove, è piuttosto rara e limitata a pochi casi.Come detto, l’ambiente particolarmente favorevole rende l’agri­coltura di alcuni prodotti della foresta quasi «semispontanea», nel senso che non occorrono particolari cure per giungere ad una soddisfacente crescita e maturazione.

Sebbene di piccole dimensioni, le piantagioni di cacao e caffè sono numerose ed eccezionalmente produttive, spesso si ottengono anche due raccolti. Il raccolto rappresenta un’operazione alla quale partecipa tutta la comunità ed è sempre una occasione di festa che si manifesta a volte con danze, canti e sbornie collettive di masato. Dopo la raccolta, il caffè e il cacao vengono messi ad essiccare e quindi scambiati con i grossisti meticci che periodicamente compiono un giro tra i villaggi loro fornitori.Gli altri prodotti agricoli, yuca e manioca, subiscono un primo essiccamento, quindi sono ridotti in polvere per ottenere una specie di farina adatta all’impasto. Coca e cannabis sono anch’esse coltivate, raccolte ed essiccate, ma in modo molto limitato e generalmente per uso individuale.

Tuttavia la masticazione della coca e l’uso della marihuana sono limitatissimi presso i Machiguengas: è da rilevare però che negli ultimi tempi contrabbandieri si sono interessati a questi prodotti per il com­mercio illegale. Da segnalare, inoltre, la presenza di piccoli centri per la lavorazione clandestina della coca sorti nel dipartimento amazzonico de la Convencion nei pressi di alcuni villaggi machiguenga più isolati e gestiti da mercanti clandestini meticci che poi esportano il prodotto semilavorato ai centri di Kiteni e Quillabamba, dove viene smistato per i mercati di Cuzco e Lima.Si accenna a tale aspetto solo per segnalare le possibilità di svi­luppo di una nuova produzione agricola delle comunità machiguenga per lo scambio, come è avvenuto con il caffè e’ il cacao, un nuovo tipo di produzione e attività commerciale che potrebbe portare non indif­ferenti mutamenti nella dinamica economica e sociale dei Machiguen­gas.

La società

L’organizzazione sociale è fondata sul nucleo familiare, ma i rap­porti tra i vari nuclei nell’ambito di una stessa comunità tendono alla collettivizzazione, soprattutto economica: infatti all’attività agricola partecipa tutta la tribù e i prodotti sono equamente distribuiti.Al mutamento dell’attività economica dei villaggi più prossimi ai centri di colonizzazione, conseguente allo scambio dei prodotti agricoli contro beni di consumo, non sembra corrispondere un mutamento dei rapporti. Infatti anche i prodotti ricevuti dallo scambio vanno tutti a beneficio della comunità secondo i tradizionali criteri di distribuzione collettiva. E tuttavia da rilevare che vi sono alcuni casi nei quali sembra esservi la tendenza a gestire questi scambi da parte di individui più capaci al commercio: non si può ovviamente ancora parlare della na­scita di una specie di «classe» di commercianti, anche perchè i casi sono ancora sporadici e ben delimitati, però è utile tenere conto anche delle prospettive di questa tendenza per delineare le caratteristiche di una nuova situazione, suscettibile di sviluppi probabili, venutasi a creare con l’avanzare della colonizzazione amazzonica e delle missioni.

Ogni comunità possiede sempre un capo che però assume più un ruolo di «coordinatore» che di vera e propria autorità alla quale dele­gare l’attività decisionale, che rimane ancora in un ambito collettivo. Il capo interviene solo nei momenti critici o di impegno collettivo particolare, nei quali vi è la necessità di coordinare le decisioni dell’intero gruppo. In tale dinamica non è dunque necessaria una gerarchizzazione in base a criteri di rango o anzianità, anche se si può osservare che taluni nuclei familiari possono godere di maggior prestigio, Ma sempre in base alle capacità e coraggio dei suoi membri.

Siamo in presenza cioè di una struttura che potremmo definire «meritocratica», anche se la presenza e il peso di una qualche forma di gerarchizzazione nella società machiguenga è ancora in una fase di studio ed interpretazione.Vorrei infatti segnalare il fatto che la letteratura etnologica è estremamente insufficiente riguardo al gruppo machiguenga e le ipotesi di ricerca emergenti dal presente lavoro sono relative a rilevamenti sul campo ed a un accurato studio comparativo dei testi relativi a popola­zioni culturalmente simili ai Machiguengas, come ad esempio i Campas per i quali i testi sono molto meno parchi. La figura del capo, in base a quanto emerge da testimonianze che ho raccolto, in passato aveva un carattere ereditario, sebbene la sua autorità rientrasse sempre nei limiti accennati, ma la progressiva tendenza ad imporsi da parte degli individui più validi e capaci nei momenti critici, a mio avviso, ha trasfor­mato tale ereditarietà in una sorta di meritocrazia. Infatti solo coloro che dimostrano maggiori capacità sono chiamati all’importante ruolo di «coordinatore», spesso necessariamente autoritario, accennato prece­dentemente.

In alcuni casi ho avuto modo di osservare che tale carattere ere­ditario sembra essere parzialmente conservato, dato che spesso il suc­cessore del capo, in base a capacità sempre verificate, si evidenzia nell’ambito dello stesso nucleo familiare, anche se è stato completa­mente abbandonato il criterio della successione generazionale diretta da padre a figlio. Tali aspetti, che spesso si presentano in modo anche contradditorio, potrebbero far pensare ad una struttura clanica o, per­lomeno, al concetto di clan come elemento fondamentale alla società machiguenga. Effettivamente le caratteristiche sociali, economiche e psicologiche della famiglia machiguenga non hanno molto in comune con ciò che si intende con «clan»; innanzitutto mancano quelle carat­teristiche qualitative e quantitative del dan che stanno alla base di una struttura sociale del genere.

La famiglia machiguenga, infatti, è costituita solo da padre. madre e figli, più raramente da suoceri e zii. Tutti i maschi e femmine sposati vanno a costituire un nuovo nucleo familiare che, sebbene con vincoli di parentela. non ha stretti rapporti economici, e culturali con il nucleo di provenienza. Inoltre, presso i Machiguengas non vi è il concetto» spi­rituale chiave del dan, cioè il totem o l’antenato originario ai quali fare riferimento come elemento di saldo aggregamento sociale ed economi­co.

In ogni caso la famiglia riveste un ruolo non indifferente nella società machiguenga, soprattutto perchè nella successione generazionale si perpetua la tradizione nella quale sono contenuti gli unici strumenti per entrare in rapporto con gli spiriti della foresta, la maggior parte dei quali maligni e temibilissimi e quindi da tenere a bada con gli strumenti tradizionali.Sebbene la tradizione, le leggi e i modelli sociali e spirituali deri­vino dagli antenati. differentemente da altre popolazioni, non è presente tra i Machiguengas un culto degli antenati nè particolari ritualità nei confronti dei defunti.

La morte, infatti, è considerata solo un incidente negativo dell’esistenza che menoma completamente l’essere, che lo an­nulla in quanto tale e lo mette non più in condizione di essere partecipe della comunità e di tutte le manifestazioni della vita. Quando l’indivi­duo muore cessa ogni suo rapporto con i viventi e non sembra che condizione di «non-vivente» lo inserisca nel mondo delle entità invisibili e degli spiriti salvo che in casi molto particolari.Una concezione drammatica della morte, dunque, del tutto diffe­rente dalla maggior parte delle concezioni animistiche anche amazzo­niche. una impossibilità da parte dell’uomo di entrare a far parte di quel mondo degli spiriti, nei cui confronti il rapporto è quasi esclusivamente di timore e spesso di incapacità nel comprenderlo.

La vita spirituale dei Machiguengas, come del resto quella di molti altri gruppi amazzonici. non è ancora stata studiata a fondo, i punti oscuri sono superiori a quelli per i quali è possibile una interpretazione corretta. Il presente studio non vuole e non può sciogliere nodi inter­pretativi o approfondire il discorso su un particolare aspetto culturale del gruppo preso in esame, bensì stabilire ipotesi di ricerca che an­dranno successivamente sviluppate. In tale prospettiva va inserita la vita spirituale dei Machiguengas, a mio avviso elemento che si presenta di più difficile organizzazione interpretativa e metodica.Anche tra i Machiguengas è presente la credenza in un Grande Spirito della foresta, un’entità superiore a tutte le altre alla quale ri­volgersi per assicurarsi l’esistenza. Una forza che occorre sempre ingrazìarsi ed evitare assolutamente di offendere tenendo alcuni modelli comportamentali (come ad esempio cacciare solo per motivi alimentari e non lasciare mai animali feriti dopo una battuta).

La ritualità che ne deriva è molto semplice e poco articolata, si riduce a qualche canto propiziatorio e a qualche amuleto personale. tutto però eseguito molto attentamente, ma è soprattutto il comportamento nella foresta che de­termina il rapporto positivo o meno con questo spirito. Questo atteg­giamento di costante attenzione alle proprie azioni, per la presenza di entità molto suscettibili, condiziona notevolmente la vita spirituale dei Machiguengas, nel senso che i rapporti con il sovrannaturale devono fondersi in un’accurata conoscenza delle entità benefiche e malefiche, dei modi per non offendere nessuna delle prime e di quelli per evitare le influenze nefaste delle altre.

A ciò, come detto, conseguono natu­ralmente modelli comportamentali ben precisi tramandati dalla tradi­zione: non lasciare mai animali feriti, non abbattere determinati alberi, osservare alcuni tabù alimentari, seguire sempre una certa prassi quando ci si avventura nella foresta, usare alcuni amuleti, ecc., tutte precauzioni necessarie per evitare conseguenze negative nel rapporto con gli spiriti.E’ tuttavia da sottolineare il fatto che questo atteggiamento, sebbene sia presente in forma più o meno accentuata presso tutte le comunità ha provocato , in quelle dove il rapporto è costante con i centri di colonizzazione e le missioni, non indifferenti mutamenti nell’organiz­zazione anche spirituale del gruppo, attenuandone in qualche modo le caratteristiche originarie.

Dove, ad esempio, la priorità assoluta del­l’attività agricola in relazione allo scambio ha determinato una specie di «decadenza» nell’attività venatoria, il rapporto con le entità della foresta è molto meno stretto che prima e quindi anche un certo modello comportamentale tradizionale ne esce mutato in qualche modo. Per non parlare poi delle comunità prossime alle missioni, dove l’opera di evangelizzazione ha prodotto situazioni del tutto nuove relativamente alla spiritualità machiguenga. Lo strettissimo rapporto tra quotidianità e spiritualità ha prodotto anche presso i Machiguengas. come del resto in tutte le società analoghe, la necessità di un «trait d’union» tra la co­munità e il mondo delle entità invisibili, cioè il depositario della tra­dizione che è padrone degli strumenti magico-religiosi e sa discernere tra spiriti benigni e maligni, conoscendo le tecniche per fronteggiare questi ultimi.

E’ lo sciamano, il curandero che, in tale ottica, è conside­rato come colui che può interpretare e manipolare alcune forze della natura, che può «curare» perchè conosce l’origine dei mali e i modi per guarirli, insomma l’unico individuo della tribù che sa cosa sta dietro il fenomeno naturale, entrando così in contatto con le forze invisibili che determinano l’Universo.Presso i Machiguengas il curandero è soprattutto uno sciamano che interviene con le sue conoscenze in situazioni particolari per mutare l’effetto di influenze negative sulla collettività o sui singoli. Nelle co­munità prossime alle missioni, in quei villaggi cioè dove le organizza­zioni religiose si vantano di aver «evangelizzato» gli indigeni, laddove gli antichi spiriti della tradizione e gli antichi riti sono stati sostituiti dal cattolicesimo, la figura del curandero è ancora dì importanza fonda­mentale, spesso gli abitanti lo tengono nascosto e negano la sua esi­stenza, ma egli è sempre li, pronto ad intervenire con i suoi segreti laddove né cristianesimo né medicina possono intervenire.

Di ciò sono assolutamente convinti (rispetto ai loro fratelli più isolati) ed hanno non poche resistenze iniziali ad ammettere che anche le loro comunità possedevano il curandero.I curanderos machiguenga, come avviene presso tutte le popolazioni amazzoniche, conoscono perfettamente le proprietà terapeutiche e tos­siche di un gran numero di vegetali ed è indubbia l’efficacia farmaco logica di molte di esse, tuttavia qualsiasi uso di sostanze è accompagnato da ritualità necessarie ad attivare tali proprietà. Quando, ad esempio, il curandero si occupa di un ammalato propinandogli bevande e droghe cerca sempre di «succhiare» dal suo corpo le influenze malefiche in una recitazione molto suggestiva e, direi, molto «coinvolgente» anche per l’osservatore più critico.Ho prestato particolare attenzione, durante le mie ricerche su campo, all’uso magico-rituale di bevande inebrianti e droghe, in modo particolare ho individuato che una bevanda alcolica (il masato) e una droga allucinogena (l’ayahuasca) sembrano rappresentare i sussidi fondamentali alle principali pratiche magico-religiose presso i Machiguengas.Come già ho sottolineato, la vita spirituale e il particolare animismo dei gruppi dell’Urubamba e Alto Ucayali hanno moltissimi punti’ comune tra loro, che avvalorano ulteriormente l’ipotesi di un origine comune di alcuni di questi gruppi.Sia presso le comunità machiguenga che in quelle campa, ho notato alcune forme rituali, oltre che di costume, che si presentano del tutto simili se non quasi completamente uguali, tra le quali quella che per comodità definirei «cerimonia della yuca». Questa cerimonia probabilmente in origine era connessa ad un culto lunare del quale sem bra che si siano persi gli elementi magici e religiosi motivazionali, conservando però l’antica prassi rituale. La yuca masticata a lungo e ridotta poltiglia, viene lasciata fermentare in un grande recipiente ricav generalmente da un tronco scavato o fabbricato con il leggerissimo legno delle balsas.Nella prima notte di luna piena il curandero chiama a raccolta villaggio intorno al fuoco, annunciando che la bevanda è pronta e che gli spiriti sono favorevoli, quindi tutti attingono il masato e bevono fino a giungere gradualmente un notevole grado di ubriachezza, danzando e cantando arrivano poi al culmine della festa cerimoniale che d coincidere con la luna alta per riceverne gli influssi benefici.Un tempo questa cerimonia, o una forma cerimoniale con l’uso masato molto simile, era connessa anche con la guerra e praticata sempre alla vigilia di spedizioni contro altri villaggi, soprattutto raggiungere il necessario grado di eccitazione e autosuggestione.Tra i Machiguengas e le popolazioni vicine è presente anche struttura interna alla tribù con fini magico-religiosi che è definibile come una sorta di «società segreta», simile a quei particolari tipi di raggruppamenti intersociali molto diffusi in altre aree amazzoniche e molte aree extramericane dove sono presenti gruppi animisti (Africa, Oceania).

Non è certo questa la sede per impostare un discorso sul concetto di «società segreta» e sui suoi differenti sviluppi presso molte popolazioni dalle strutture sociali tribali, qui interessa solo puntualiz­zare la presenza di una tale struttura all’interno della comunità machiguenga, che svolge essenzialmente funzioni magico-religiose, nel­l’ambito più generale della vita spirituale di questo gruppo.Tuttavia è da tenere presente che lo studio di queste particolari forme intersociali e magico-religiose presso i gruppi dell’Urubamba­ Ucayali è ancora nella fase interpretativa dei dati a disposizione, che sono sufficienti per stabilire una corretta prospettiva di ricerca.Per ciò che concerne la mia indagine sul campo, debbo dire che ha prodotto discreti risultati, nel senso che mi è stato possibile, superando le naturali resistenze degli indigeni gelosissimi delle loro ritualità eso­teriche,ottenere direttamente validi elementi documentari.Uno dei primi aspetti che risaltano è che, differentemente da altre popolazioni, presso gli amazzonici occidentali la «società segreta» ha funzioni principalmente sociali, nel senso che l’attività esoterica, magi­co-religiosa e veggente è al servizio della comunità e non uno strumento elitario e spesso di potere. La ritualità periodica, infatti, deve rispondere alle esigenze del villaggio: interpretazioni di auspici, chiaroveggenza, esorcismi, più raramente cura di particolari malattie (soprattutto di origine nervosa) ecc.

Ayahuasca

Presso i Machiguengas è presente e molto attiva quella che definirei per comodità la «società dell’ayahuasca»: i suoi membri si riuniscono periodicamente per praticare riti esoterici basati sulle proprietà alluci­nogene di una potente droga vegetale, l’ayahuasca, appunto.All’interno della foresta più fitta e lontano dal villaggio, in ogni comunità machiguenga vi è una capanna dove una o due notti alla settimana si riuniscono i componenti della «società dell’ayahuasca» (presso la comunità-tipo che ho potuto esaminare si praticavano rego­larmente riunioni rituali ogni quattro giorni).Diretti dal curandero i membri della società ingeriscono una be­vanda estratta da una liana che cresce spontaneamente nella foresta:ogni curandero possiede il suo metodo di preparazione che viene tra­mandato segretamente.Vi sono inoltre, alcune regole fondamentali che generalmente consistono nell’osservanza di una dieta rigorosa, nella proibizione di ingerire sale, alimenti dolci, carni e bevande alcoliche, ed è fonda­mentale una rigida astinenza sessuale.

Il preparato si ottiene lasciando macerare piccoli pezzi della liana assieme ad altri vegetali della foresta quali la chacruna, il toe, il chirisnango, l’uchusunango e l’hayahuna, la macerazione deve durare un minimo di dodici ore ed acquista un sapore estremamente amaro.In un’atmosfera di grande misticismo, tra altari improvvisati con­tenenti amuleti particolari e illuminati da tenui fiammelle, il maestro curandero distribuisce la bevanda ai partecipanti al rito ripetendo una cantilena incomprensibile, nel frattempo si esegue una musica particolare con flauti e percussioni di ossa. I partecipanti assimilano le pro­prietà della droga gradualmente e l’intossicazione avviene per stadi ben definiti. Personalmente ho avuto modo di osservare la seguente progres­sione:Uno stadio di estrema agitazione psico-motona con abbondante sudorazione a cui segue immediatamente una notevole disponi­ilità verbale, della quale approfitta il curandero per porre domande sulle visioni che incominciano a prodursi nei drogati. In questa prima fase le visioni sono figure geometriche policrome, ma molto disordinate.Nello stadio successivo le visioni geometriche si organizzano e il curandero puòincominciare ad interpretare ciò che i suoi discepoli gli comunicano. La motivazione delle visioni allucinatorie è ritenuta dai Machiguengas connessa alle esperienze e desideri «anteriori alla vita normale», a quelle particolari proprietà della psiche, cioè, che permettono di entrare gradualmente in rapporto con il mondo degli spiriti.Nella terza fase le manifestazioni della psiche, progressivamente alterata dalla droga, si trasformano in visioni realistiche e piacevoli che, generalmente, consistono in grandiosi paesaggi immaginari, fanciulle bellissime, volti amici. E’ il breve periodo che precede al­lucinazioni terrificanti che mettono a dura prova l’equilibrio del drogato, è in questa fase che si supera il confine tra il naturale e il sovrannaturale, elemento necessario per entrare in contatto con le forze invisibili della natura per i Machiguengas. Questo stadio ha una notevole durata ed è caratterizzato da urla, scene di dispera­zione, violenti shock che il curandero cerca di interpretare magica­mente.

Lo stadio finale è caratterizzato da un particolare forma allucina­toria durante la quale il drogato subisce una sorta di «sdoppia­mento» di personalità ed ha la chiara percezione di essere «spetta­tore» di tutte le visioni che lo circondano e che coinvolgono un suo alter-ego. Si sviluppa una estrema lucidità e capacità critica, la piena convinzione dell’irrealtà delle allucinazioni e la conseguente possi­bilità di interpretarle in una prospettiva chiaroveggente.

Dopo l’ultima fase segue un’astenia totale e quindi un sonno pro­fondo; nel frattempo il maestro-curandero ha raccolto tutti gli ele­menti necessari alla sua interpretazione magico-religiosa dei segni che questo contatto con le forze degli spiriti attraverso la droga ha prodotto negli iniziati.

Mi sono soffermato sull’uso dell’ayahuasca, perché a mio avviso può essere un elemento di una certa importanza per individuare alcuni aspetti-chiave della vita spirituale dei Machiguengas e, per riflesso, di molti gruppi arauchi dell’Amazzonia peruviana con usanze simili, so­prattutto i già più volte citati Campas e Piros.La droga, dunque, sembra essere uno degli strumenti fondamentali per prescindere temporaneamente dalla vita quotidiana che, ricordia­molo, per i Machiguengas è sempre in gran parte soggetta alle influenze delle forze misteriose della natura. La droga, infatti, con le sue proprietà permette al subconscio di esprimersi liberamente, spesso drammatica­mente, di rivelare anche a livello visivo-allucinatorio le proprie paure ancestrali e, allo stesso tempo, di stabilire un approccio con il mistero del mondo che per le popolazioni amazzoniche è la foresta con le sue forze in gran parte incomprensibili.

La malattia, ad esempio, è il ri­sultato dell’influenza nefasta ditali forze, spesso mediate da una certa forma di «magia nera» praticata da alcuni individui disprezzati e te­mutissimi, oppure dal diretto intervento di spiriti maligni che possono penetrare nella comunità sotto forma di animali, specialmente di ser­penti. Attraverso la droga tali influenze possono essere individuate nel soggetto e il curandero può intervenire con efficacia esercitando un’in­fluenza «benefica» che equilibra e annulla quella negativa. Lo sciamano stesso, per acquistare maggiore conoscenza del mondo degli spiriti e per accentuare in sé quelle potenzialità latenti di un’influenza benefica, deve fare uso prolungato della droga, perché solo così le sue energie più nascoste riescono ad affiorare a livello di coscienza e possono essere efficacemente adoperate per lottare contro le forze maligne.Effettivamente l’ayahuasca può accentuare enormemente la per­cettibilità nei soggetti più idonei e preparati e ciò rappresenta indub­biamente un elemento di primaria importanza.

Azzarderei ad inserire tale tipo di rapporto individuo-forze naturali mediato dalla droga anche nella più vasta ipotesi di ricerca sulla «re­ligiosità» delle popolazioni arauche peruviane, un tema che presenta enormi difficoltà documentarie e interpretative, data l’estrema fram­mentarietà dei dati al momento attuale.Si è visto, ad esempio, come la ritualità presso i Machiguengas sia limitata a poche cerimonie collettive che potremmo definire più magi­che ed esorcistiche che religiose, cerimonie necessarie soprattutto per premunirsi contro le influenze negative delle entità sovrannaturali. In tale ottica la presenza o meno di una divinità creatrice è molto relativa, perchè — se vi è stata «origine» e «creazione» — è anche vero che l’artefice della vita del mondo è un’entità talmente lontana ed ignota che non vi è neanche la necessità di stabilire con essa un rapporto. E’ invece indispensabile il rapporto con le molteplici forze che sono state prodotte da tale atto originario, una varietà complicata e articolatissima di entità invisibili che regolano il mondo e nei cui confronti il rapporto non può che essere «magico», esorcistico, teso ad individuare le in­fluenze positive e negative di ciascuna di esse e i mezzi per captarle o affrontarle.

Estratto: Paolo del Papa. Indios dell’Amazzonia Peruviana Ed.Igm, Firenze,1983  

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