Da Giava a Bali
Civiltà giavanese
Giava si stende per un migliaio di chilometri ad est di Sumatra oltre lo stretto della Sonda, dove emergono alcuni picchi vulcanici tra i quali il Krakatau, protagonista di una delle più terrificanti eruzioni della storia nel 1883 che devastò lo stretto, sterminò la popolazione e oscurò il cielo per mesi, scagliando massi a centinaia di chilometri. Esso fa parte del centinaio di vulcani, in gran parte attivi o latenti, che dominano le montagne giavanesi da ovest ad est coperti da fitta vegetazione e separati da profonde valli, dove da millenni gli abitanti hanno strappato alla foresta le loro piantagioni, concentrandosi nella lunga pianura alluvionale del nord stendendo per secoli le ordinate risaie con terrazzamenti sui rilievi che la limitano, modellando mirabilmente il paesaggio. Piccoli villaggi tra immense piantagioni e risaie che si allungano fino alla costa, dove fin dall’ antichità sorsero città di mercanti e navigatori con i loro porti incrociati dalla leggendaria Via delle Spezie e che ancora accolgono il traffico marittimo nei porti di Jakarta, Tjirebon, Semarang e Surabaya. Su quelle antiche rotte nel IV sec.d.C. si sviluppò la grande civiltà giavanese influenzata dai secolari rapporti con l’ India e gli abitanti ne adottarono l’ antichissima cultura, l’ organizzazione sociale e politica, le avanzate tecniche agricole e artigianali e la religione hindu, particolarmente il culto di Siva poi fu sostituito con il buddhismo . Il primo di questi stati giavanesi “indianizzati” fu il regno di Taruma che nel V secolo veniva ricordato nelle cronache indiane e cinesi come raffinato e progredito e il cui sovrano Purnavarman fece edificare città, templi e grandi opere, come un canale di quindici chilometri per trasportare merci e irrigare vaste zone strappate alla foresta tropicale., mentre nella vicina Sumatra nascevano i potenti regni Malayu e Shrivijaya.I regni hindu indonesiani fiorirono sviluppando enormemente la produzione agricola a Giava, con grandi opere di bonifica, disboscamenti e terrazzamenti che strapparono alle foreste le grandi piantagioni e risaie che modellano il suggestivo paesaggio dell’ isola, contrastando con l’ aprezza selvaggia delle catene montuose e i rilievi vulcanici. La ricchezza agricola interna favorì contemporaneamente il grande sviluppo del commercio marittimo e dai porti soprattutto di Sumatra i vascelli indonesiani incrociarono le principali rotte dell’ antica Via delle Spezie orientale tra l’ Oceano Indiano, il golfo del Bengala e il Mar Cinese Meridionale, da secoli frequentate da arabi, indiani e cinesi. Tra i vari regni “indianizzati” indonesiani emerse quello di Shrivijaya, che aveva il suo centro a Palembang a Sumatra, che le cronache cinesi del Vll secolo descrivono come florido e potente, grande centro culturale per la diffusione del buddhismo e che ben presto dominò un vasto territorio dalla Malesia all’ intera Giava fino alle remote isole a est di Bali, controllando le rotte importanti marittime del sud est asiatico che favorì scambi commerciali e culturali con l’ India, la Cina e la nascente civiltà araba islamizzata. L’ influenza su Giava governata dalla dinastia Shailendra si accentuò nel IX secolo con l’ introduzione del buddismo Mahàyàna e matrimoni dinastici tra le due rispettive famiglie regnanti che sancirono un’ alleanza tra Sumatra e Giava, ma nel 992 il sovrano di Giava orientale Dharmavangsa attaccò lo Shrivijaya che reagì invadendone il regno. Nel 1006 divenne gli succedette Airiangga che conquistò l’ intera isola e ritentò la conquista di Sumatra , ma alla sua morte nel 1049 il regno si disgregò in vari principati, tra i quali quelli di Kadiri e di langala, mentre fioriva la civiltà hindu di Bali. Nel 1222 il leggendario re Ken Angrok unificò Giava orientale, dove nacque il regno di Singlìásári che fiori nel XIII secolo con i grandi re Visnuvardhana e Kertanagara, che hanno lasciato grandi testimonianze nella cultura e l’ arte giavanese e balinese.
Attraverso Giava
Dove gli olandesi nel XVII secolo fondarono la capitale della loro colonia indonesiana Batavia, esistevano dei villaggi ben organizzati, collegati da strade e canali, costruiti sotto il regno sundanese di Purana trecento anni prima, che avevano il loro centro a Bogor. Quando il regno Purana decadde e fu sostituito da quello Pajalaran, il centro fu spostato sulla costa alla foce del fiume Tji Li-wung e fiorì con il suo porto, la città crebbe e fu chiamata Forte e Gloriosa, in sanscrito Jakarta. Dopo la conquista olandese il governatore Coen. nel 1619 fece edificare la nuova città che, dal popolo dei Batavi, fu battezzata Batavia divenendo la sede della potente Compagnia delle Indie Orientali. e uno dei più importanti porti dell’ Asia orientale fino all’ inizio del XIX secolo, entrato poi in crisi con l’ apertura del canale di Suez e lo sviluppo di Singapore fondato da lord Raffles. Nel 1942 la colonia olandese e la sua capitale fu invasa dai giapponesi, alla loro sconfitta nel 1945 nella vecchia Batavia fu.proclamata l’ indipendenza, nel 1949 divenne capitale della Repubblica lndonesiana e l’anno dopo fu ribattezzata con l’ antico nome di Jakarta. Durante gli ultimi decenni della colonia furono edificati moderni quartieri commerciali e residenziali che,con i tanti canali che si intersecano collegati da ponti,dà alla città un aspetto che ricorda le città olandesi. Nella zona più moderna sorge il grande centro commerciale e industriale, le sedi delle grandi industrie che si sono sviluppate rapidamente nella metallurgia,. meccanica, chimica, tessile, alimentare, le più vecchie della gomma e dei cantieri navali, banche e società multinazionali per lo sfruttamento del legname e dei ricchissimi giacimenti petroliferi e minerari. Nei quartieri residenziali si sono moltiplicati i grandi magazzini e gli shopping center, tutto è occidentalizzato all’ estremo, anche le università statale e private, i centri culturali e i musei, tra i quali il vasto parco all’ aperto della Piccola Indonesia, che riproduce le abitazioni tradizionali di tutte le popolazioni dell’ immenso arcipelago, sicuramente una delle poche mete interessanti per una visita della capitale, assieme a qualche vecchio quartiere sopravvissuto. I quartieri più vecchi nella zona sud est, che vanno scomparendo con l’ estendersi della caotica metropoli moderna, sono quelli cinese e arabo che conservano alcuni edifici colorati ed animati dai mercati di quartiere rionali, quelli indonesiani si presentano ormai come le tipiche hinterland delle grandi città asiatiche, poveri e sovrappopolati con tutti i gravi problemi sociali che comportano.Nella periferia più esterna, infine, i quartiri mantengono in parte le caratteristiche dei vecchi villaggi agricoli Kampong, ma anche essi minacciati dall’ incontenibile e caotica crescita della città e dal continuo arrivo di immigrati dalle zone più povere del Paese. Un traffico caotico di auto, bus, camion, i vecchi taxi dei poveri a pedali betja, , le carrozzelle a cavalli delman ormai in gran parte sostituite con quelle a motore sovraccariche di passeggeri in continuo movimento tra gli immensi quartieri vecchi e nuovi di una metropoli ormai invivibile che sembra aver completamente travolto il suo passato.Ne rimangono alcuni vecchi edifici coloniali del XVIII secolo, visitati rapidamente dai turisti in transito verso le ben più interessanti destinazioni di Giava, come il municipio e la residenza del governatore olandese, la chiesa portoghese , Il vecchio porto della Batavia olandese, sostituito per il grande traffico da quello moderno di Tanjung Priok, a una decina di chilometri a nord-est del centro urbano, cui è collegato da un canale, da una ferrovia e da un’autostrada.
La via dei vulcani
Dalla caotica capitale si raggiunge agevolmente la vicina Bogor.che possiede uno dei più ricchi parchi botanici del mondo, da dove si continua per immergersi nei suggestivi paesaggi risalendo i monti coperti di vegetazione, tra risaie e villaggi fino al passo di Puncak da dove si gode un panorama stupendo, proseguendo poi per il piú accessibile del vulcani attivi di Giava, il Tangkuban Perahu che ha incantato generazioni di visitatori affacciandosi sul suo cratere per uno dei tanti magnifici spettacoli naturali dell’ isola.Tra le grandi piantagioni che si stendono tagliate da strade e sentieri che conducono a piccoli villaggi e le risaie che ordinano simmetricamente la pianura, arrampicandosi a terrazze sui rilievi dove hanno conteso la terra alle foreste, si attraversa Giava occidentale fino al vasto altopiano circondato dai vulcani che dominano, come una cornice di coni, quello che nella preistoria era un immenso lago. Giava centrale è sempre stata collegata fin dall’ epoca dei regni hindu e poi i sultanati islamici alla costa orientale dove incrociavano le rotte dell’ antica Via delle Spezie e sorsero i porti che ne accoglievano i vascelli cosmopoliti. Sullo stretto che separa Giava da Madura e alla foce del fiume Mas, su un antico centro commerciale gli olandesi edificarono Surabaya nel XVII secolo tra i vecchi quartieri cinesi, arabi, malesi e giavanesi, che sopravvivono con i loro bassi edifici lungo le strade sulle quali sorsero poi i grandi palazzi moderni che ospitano le sedi delle grandi aziende, industrie, banche e centri commerciali. Negli anni trenta lo sviluppo del porto e la grande produzione di zucchero fece crescere la vecchia cittadina cosmopolita fino a divenire uno dei piú grandi centri industriali dell’ Indonesia con i grandi cantieri navali, le fabbriche di automobili, i complessi tessili, chimici, meccanici e alimentari, la lavorazione del caucciù e tabacco, le grandi raffinerie di petrolio. Una metropoli caotica seconda solo a Jakarta, dal grande fermento produttivo e residenza dei grandi capitalisti indonesiani, multinazionali e intrigo di affari internazionali che contrastano anche qui con il miserabile hinterland prodotto da migrazioni dalle campagne con il miraggio della grande città cresciuta tanto in fretta. Poco distante da Surabaya un braccio di mare divide la costa dalla grande isola di Madura, dove la popolazione conserva antiche tradizioni, tra le quali la più curiosa è la periodica corsa dei bufali che richiama migliaia di visitatori. Contrade e villaggi si preparano a lungo per la gara cerimoniale preceduta da festeggiamenti più o meno pittoreschi che culminano in una manciata di secondi durante i quali i bufali si lanciano in furibonde e suggestive corse trainanti una sorta di carretto di bambu privo di ruote sul quale esperti fantini locali dai costumi sgargianti si cimentano nella gara che sembra avere antiche origini tribali.
Sul suggestivo altipiano di Giava centrale, gli olandesi nel 1810 fondarono Bandung per le vacanze dei funzionari, una settantina di anni dopo fu collegata dalla ferrovia a Bogor e divenne un grande centro amministrativo della colonia fino alla seconda guerra mondiale, quando fu occupato dai giapponesi e poi preso dagli alleati che vi stabilirono il quartier generale. Divenne celebre per la prima Conferenza Intercontinentale dei Paesi Afroasiatici, promossa da governo indonesiano di Sukarno dal 18 al 24 aprile 1955, alla quale parteciparono ventiquattro stati indipendenti asiatici e sei africani. Dall’ epoca della conferenza la città si è ingrandita, divenendo uno dei maggiori centri commerciali indonesiani per i prodotti agricoIi, grandi industrie per la lavorazione del caucciù, alimentari, tessili, chimiche, farmaceutiche e meccaniche. E’ divenuto un importante centro culturale con quattro università, vari istituti scientifici, tra i quali uno dei piú importanti istituti vulcanologici dell’ Asia, ed è stata anche la prima attrezzata per il turismo in Indonesia e tutt’ ora frequentata dalla borghesia indonesiana che si gode il clima montano e gli incantevoli dintorni, forse troppo simile alla vecchia Europa per attirare gli stranieri che in Indonesia cercano l’ esotico.
La culla della civiltà giavanese
Da Bandung si continua verso Giava orientale tra paesaggi sempre più suggestivi fino ai centri di Wonosobo e Malang, da dove si sale sui duemila metri dell’altopiano di Dieng, tra magnifiche montagne e vulcani, laghi che splendono tra strette valli alternati a sorgenti solfuree e improvvisi gyser che fumano il ribollire dell’ attività vulcanica del sottosuolo. In questo magnifico scenario sorsero i primi templi dell’ antica civiltà hindu giavanese che si ergono improvvisi lungo le strade che seguono le antiche vie che collegavano le città e i centri fioriti tra il IV e il IX secolo, intrisi delle gesta leggendarie di eroi e sovrani, miti e cronache dei viaggiatori indiani e cinesi che descrissero ammirati i regni di Giava. Dall’ indimenticabile suggestione della traversata dell’ altipiano di Dieng si giunge alle città di Yogyakarta, Surakarta e la più distante Semarang, collegate alla costa settentrionale che vide il grande traffico marittimo sulla leggendaria Via delle Spezie.
Yogyakarta conserva il suo passato che la vide protagonista nel medioevo gavanese, centro deI grande sultanato islamico di cui rimane il Palazzo del Sultano Kraton e quella che fu la poderosa fortezza di Tamansari, i vecchi quartieri con le botteghe artigiane e le fabbriche tradizionali dei tessuti batik, gli animatissimi mercati e le vie trafficate da calessi che contrastano con il traffico moderno, poco distante il centro di Surakarta e il palazzo dove i sultani governarono dalle splendide corti il dominio islamico su Giava orientale. Fuori Yogyakarta si erge il vasto complesso sacro hindu di Prambanan, edificato all’ inizio del X sec.d.C. dal sovrano Dksha della dinastia di Mataram, che costituisce il culmine della grande arte e architettura hindu giavanese della quale i precedenti suggestivi esempi sono disseminati nel suggestivo altipiano di Dieng. Un magnifico recinto quadrato dalle alte e mura racchiude il tempio a terrazze, su una più elevata sorgono due tempietti candi, che contenevano i tesori del tempio,davanti i quali stavano i sacrari delle mitiche cavalcature delle divinità supreme della Trimurti e su quella superiore altri tre candi più imponenti, il centrale LoroIongrang consacrato a Siva, i laterali a Bráhma e a Visnu. Poco distante sorge una delle meraviglie architettoniche della storia, il fantastico Borobodur edificato dalla dinastia Shailendra all’inizio del IX secolo d.C. e a lungo dimenticato nella fitta vegetazione che l’ avvolgeva dopo la caduta dei regni giavanesi fino a quando fu riscoperto nel secolo scorso e magnificamente restaurato da archeologi ed architetti olandesi per quattro anni dal 1907. Ammirato nella sua grandiosa e raffinata perfezione dai visitatori per ottanta anni, fu oggetto della criminale stupidità di un gruppo di rozzi integralisti islamici nel 1985 che lo danneggiarono seriamente nella loro irrazionale furia iconoclasta, ma tornò a splendere nuovamente ad incantare il mondo. Non è un semplice tempio o monastero, è l’ ardita raduzione architettonica di un mandala, raffigurazione del percorso della meditazione buddista attraverso i piani della progressiva perfezione dello spirito fino al culmine dell’ illuminazione, di già gran difficoltà nelle varie rappresentazioni pittoriche di cui l’ universo buddista è ricco, incredibile in questa sua grandiosa realizzazione in pietra. In esso vi è anche la più sorprendente realizzazione del mitico Monte Kailas, sede dell’ immenso Pantheon buddista derivato dall’ induismo e suprema immagine della dottrina maháyána. Un enorme base quadrata con centoventotto metri di lato che sorregge il culmine del sacrario incrociata simmetricamente da quattro grandi rampe di scale da dove si sviluppano perfettamente gallerie concentriche fittamente decorate da bassorilievi e una miriade di piccoli tempi che contengono le immagini del Budda e dei Bodhisattva. Sul piano più alto sorgono tre terrazze rotonde che contengono i sacrari stúpa attorno ad uno più grande ed elevato che domina il magnifico complesso mirabilmente decorato da milletrecento lunghi pannelli di bassorilievi che si sviluppano per quindici chilometri di bassorilievi, apogeo dell’ arte plastica e scultura della civiltà giavanese. I bassorilievi accompagnano costantemente il visitatore che segue il rito buddista della deambulazione attorno allo stupa centrale e, allo stesso tempo il percorso spirituale del mandala, inducendo alla meditazione meditazione. Si parte dalle gallerie inferiori, dove i bassorilievi rappresentano le vane apparenze della vita terrena, la noia della quotidianità e il drammatico universo infernale; quindi si sale concentricamente a meditare sulle scene di vita del Buddha, i suoi seguaci illuminati Bodhisattva, e il senso di liberazione raggiunto dai saggi asceti che ne hanno seguito le vie. Le magnifice rappresentazioni sono intercalate da statue di spiriti e divinità hindu e scene del poema mitologico Ramahyana fino ai tempietti candi consacrati alle supreme divinità hindu della Trimurti Bráhma e Visnu. La parte piú orientale di Giava è dominio della natura con il vasto altipiano di Malang dove si succedono boschi popolati da animali, torrenti, laghetti e cascate e si ergono solitari gli antichi templi hindu, testimonianza della grande civiltà che sopravvisse per secoli fino all’ invasione islamica nel medioevo. Continuando nel suggestivo ambiente naturale, tra villaggi tradizionali e piccoli centri, l’ imponente sagoma del vulcano Bomo domina magnificamente l’ ultimo lembo orientale di Giava e le sue viscere ribollenti che soffiano da sempre la potenza della montagna l’ anno reso sacra dimora di potenti spiriti e divinità, oggetto di riti e cerimonie. Un’ indimenticabile suggestione ascenderne i contrafforti prima del sorgere del sole assieme ai fedeli di antichi riti che recano animali da sacrificare nell’ immenso cratere lambito dalle luci dell’ alba in uno spettacolo grandioso che accomuna nell’ ammirazione indigeni, personaggi che attendono i presagi dai sacrifici propiziatori e visitatori giunti da molto lontano.
L’ ultimo lembo di Giava affaccia a oriente sullo stretto che la separa da quella che fu l’ emanazione della sua antica civiltà hindu, qui affidata alle splendide testimonianze archeologiche del suo perduto passato, ma oltre il breve braccio di mare attraversato quotidianamente dai traghetti ancora pulsante nel suo splendore arricchito da tradizioni e costumi più antichi dell’ Isola degli Dei Bali.
Bali isola degli dei
Massicci vulcani ancora attivi si elevano tra le nuvole e scivolano nel turchese dei laghi vulcanici; i mosaici di smeraldo delle risaie splendono arrampicandosi con mirabili terrazze sui rilievi tra villaggi e templi nascosti dalla vegetazione, i monti stringono valli solcate da fiumi e torrenti che precipitano in cascate nella foresta, declinando verso le piantagioni e i palmeti che affacciano sulle spiagge bianche, lambite dal blu dell’ Oceano. La più antica cultura balinese rimane avvolta nelle nebbie della storia e leggenda, ne rimane un universo di spiriti e tradizioni intrise di miti e magia che da secoli si è mescolato con l’ induismo di cui Bali e’ stato e rimane l’ ultimo imprendibile baluardo in Indonesia. La prima penetrazione hindu, portata da mercanti e viaggiatori indiani che incrociavano le rotte della Via delle Spezie, risale al secondo secolo d.C. e per un migliao di anni condivise lo spirito e le tradizoni dei balinesi con quell’ universo animista per compenetrarsi in una delle più originali sintesi culturali dell’ Asia orientale. Nell’ XI secolo la civiltà hindu giavanese era al culmine e influenzò notevolmente Bali, fino ad una sovrapposizione dell’ induismo alla più antica cultura chefu definitivo nel 1334 con la conquista di Bali da parte del potentte regno Majapahit di Giava orientale. Per i successivi quattro secoli si sviluppò la civiltà balinese che ancora sopravvive, influenzata dai religiosi, artisti e artigiani giavanesi, alla quale si sottrassero solo gli isolati villaggi dell’ interno degli indigeni Bali Aga che conservarono parte gli antichi costumi. Ma, mentre la civiltà hindu giavanese veniva travolta dalla conquista islamica prima e dalla colonizzazione olandese nel 1908 poi, a Bali sopravvisse intatta e continua ad essere magnifica testimonianza di quel raffinato mondo travolto altrove dalla storia. Essa ha resistito ad ogni tentativo di mutamento anche drammatico e violento, a partire dalla dominazione olandese, poi la dura invasione giapponese, quindi il tentativo dell’ imposizione islamica della nuova repubblica indipendente ed infine lo spaventoso sterminio dei sospetti “comunisti” durante il colpo di stato del 1965. Quest’ ultimo è forse l’ esempio più eclatante della particolare cultura balinese, tradizionalmente infatti i villaggi possiedono un’ organizzazione di tipo comunitario, così capi e sacerdoti accolsero con favore le proposte dei movimenti di sinistra indonesiani, quali adattamenti moderni di ciò che era sempre stato tra la gente dell’ isola. La reazione del governo golpista fu tremenda con il massacro di capi di villaggi e clan, sacerdoti e bramini, intere famiglie che non avevano fatto altro che mantenere la loro antica organizzazione sociale di villaggio. Si racconta che alcuni sacerdoti e stregoni più potenti dettero non pochi problemi ai militari inviati a giustiziarli sommariamente, sembra che fucilazioni e tentativi all’ arma bianca non risultarono efficaci contro la potente magia di quei personaggi che sopravvivevano con i loro misteriosi amuleti e formule magiche, tanto da costringere gli aguzzini esterefatti e terrorizzati a risolvere il problema con pesanti pietre legate al collo nell’ oceano. Anche questo è Bali con il suo fantastico e misterioso universo che, a cercarlo, avvolge e incanta anche il più razionale dei visitatori. I villaggi sono adagiati nelle valli o arrampicati alla base dei monti, ordinati e regolari come l’ antica società che li ha prodotti, attraversati da una via principale sulla quale affacciano le case e sulla parte più elevata sorge il tempio consacrato agli antenati fondatori, piú in basso si trovano i templi funebri e all’ incrocio principale quello della comunità, per i riti propiziatori e le assemblee dei capi famiglia.in una torre decorata sono custoditi i gong per richiamare la popolazione e uno spazio è riservato al tradizionale combattimento dei galli durante le feste.
Universo balinese
Ogni villaggio è indipendente e governato dall’ assemblea degli uomini sposati, presieduta da un consiglio di cinque anziani in carica per cinque anni ed è molto raro che anche un balinese che viva in città quando viene chiamato all’ assemblea del suo villaggio originario si sottragga all’ obbligo di parteciparvi; severamente sanzionato. L’ economia tradizionale balinese è agricola da sempre e continua ad esserlo con i suoi ritmi secolari, nonostante l’ enorme afflusso di stranieri, turisti e emigrati dalla vicina Giava che si concentra su una limitata parte della costa meridionale, mentre il resto rimane perfettamente intatto. E’ l’ antica tradizione agricola che ha prodotto uno dei più suggestivi paesaggi asiatici con il complesso sistema di risaie a terrazze irrigate che tappezza di incredibili simmetrie dal verde sgargiante le valli e i colli fino ai contrafforti dei monti e i vulcani, contrastando con le splendide foreste tropicali alle quali da millenni i contadini contendono il territorio. Una fertilità sorprendente produce due o tre raccolti di riso all’ anno, mentre nei terreni non irrigati si coltivano ortaggi e mais, piantagioni di palme da cocco e caffè e ogni villaggio alleva buoi, maiali, polli, anatre e oche. Ogni zona irrigata dallo stesso sistema è riunita in cooperative, che qui esistono da sempre per la tradizionale organizzazione in comunità , governate da un comitato eletto periodicamente che stabilisce i lavori, le cerimonie, le offerte alla dea del riso Dewi Sri e le feste del raccolto con le processioni fino ai granai consacrate alla Madre del Riso.
Nella religione balinese l’ induismo introdotto dalla civiltà javanese si è sovrapposto all’ arcaico animismo con i suoi culti del sole e dell’ acqua come fonti di vita e le montagne, da cui sgorgano i fìumi, come fonti di fertilità. Le divinità, gli spiriti e gli antenati dimorano tra le montagne, vulcani, laghi, vallate, fiumi e risaie proteggendo la comunità, mentre il mondo sotterraneo e il mare sono sede dei demoni e spiriti maligni che la minacciano. Le entità del Bene e del Male dominano l’ universo e l’ esistenza è condizionata dall’ equilibrare quotidianamente le due forze, onorando le benigne e placando o esorcizzando quelle maligne con offerte e sacrifici, la cui efficacia dipende dalla purezza di chi le esegue, evitando azioni contaminatrici, contatti con il sangue, malattie e la morte e la pratica di rituali purificatori, ognuno possiede un posto simbolico nell’ opposizione del bene al male, che determina la posizione nelle cerimonie, gli edifici con la parte sacra rivolta alle montagne, un ordine possibile solo con grande spirito comunitario.
Il sacro centro di quest’ universo è la montagna piú alta di Bali Gunung Agung, dimora della divinità suprema Siwa, ai cui piedi si erge il Tempio Madre di Pura Besakih, ricettacolo di tutti gli spiriti e divinità più potenti che proteggono l’ universo ed oggetto delle cerimonie più importanti, da cui si irradiano idealmente altri ventimila templi di varie dimensioni ed importanza e migliaia di tempietti domestici e altari famigliari oggetti di cerimonie quotidiane e grandi celebrazioni periodiche. L’ ordine sociale in armonia con il mondo sovrannaturale è mantenuto dalle quattro caste principali wangsa, la più bassa Jaba del popolo comune e dei contadini che comprende circa il novanta per cento della popolazione, il resto appartiene alle caste superiori triwangsa, che corrispondono a quelle hindu dei brahmani, kshatriya e vaishya, molto attenti ai rischi di contaminazione e i soli a poter essi soltanto diventare i potenti alti sacerdoti pedanda, che praticano i riti piú sacri. L’ appartenenza alle caste più alte e i titoli sono ormai in parte solo prestigio; ben pochi discendenti delle famiglie reali e nobili oggetto di grande rispetto hanno il potere e la ricchezza di un tempo, il linguaggio è una delle principali forme di distinzione, quello basso è quotidiano della maggior parte della popolazione; quello alto per rivolgersi alle persone di rango; il medio è un linguaggio di cortesia per le persone ritenute importanti. Ogni gruppo di caste è composto da clan patrilineari dadia, governati da forti vincoli di solidarietà e con propri templi comuni per gli antenati oltre quelli domestici, per le offerte quotidiane composte di fiori, riso, sale e peperoncino rosso avvolte in foglie di banano.
Ciclo della vita
Ogni bambino che nasce è reincarnazione di antenati e considerato sacro fino alla perdita dei denti da latte; al quarantaduesimo giorno di vita, il neonato viene purificato assieme alla madre da un sacerdote e messi braccialetti, collanine e catenelle alle caviglie come amuleti contro spiriti maligni per una buona crescita. Tre mesi piú tardi con una cerimonia viene imposto il nome al bambino e nel suo primo compleanno, che nel calendario rituale balinese cade 210 giorni dopo la nascita, si celebra una grande cerimonia per celebrare il piccolo abitante del cielo, fino al momento sempre portato in braccio, che mette i piedi per la prima volta in terra. Dopo le offerte rituali nel tempio di famiglia il bambino vestito di broccato e adorno di gioielli, viene portato da un sacerdote che gli rade il capo lasciandogli solo un ciuffetto di capelli sulla fronte e vengono appoggiati i piedini in terra. Raggiunta l’età di tre anni, i bambini vengono svezzati, quindi comincia ad essere educato alle tradizioni e costumi partecipando alle attività e cerimonie degli adulti. Dato che solo gli animali e gli spiriti maligni hanno denti aguzzi o come zanne, tradizionalmente i denti del bambino devono essere limati, ma l’ operazione e le immancabili cerimonie hanno costi elevati e spesso la maggioranza delle famiglie cerca di evitare o rimandare il il rituale., mentre la cerimonia della pubertà femminile viene sempre praticata alla prima mestruazione che rende la fanciulla impura e da isolare. Normalmente il matrimonio avviene nell’ ambito dello stesso clan dadia e gli sposi vivono con le rispettive famiglie fino a quando l’ uomo procura una casa propria, nelle caste piú alte i matrimoni sono tradizionalmente combinati, altra tradizione è il rapimento della sposa, un diritto ed obbligo allo stesso tempo, perchè l’ uomo che non è sposato non può entrare nella comunità del villaggio e avere un ruolo responsabile. Nel nucleo famigliare l’ uomo si dedica alla costruzione della casa e ogni attività manuale pesante, al lavoro nei campi fino al raccolto nel quale è aiutato da moglie e dai figli; mentre la donna si occupa del lavoro domestico, l’educazione dei figli, l‘amministrazione del denaro e il piccolo commercio nei mercati. Le cerimonie più importanti nella tradizione balinese sono quelle funebri, perchè alla morte l’ anima che ha lasciato il corpo rimane legata alle cose alle cose terrene, il corpo viene sepolto finché i parenti non sono in grado di procedere ai rituali necessari al trapasso dell’anima dalla terra al paradiso e quindi viene cremato, solo allora il defunto potrà reincarnarsi, tuttavia la morte contamina la comunità indebolendola e sono perciò necessari riti purificatori. Il sacerdote sceglie un giorno propizio per riesumare il defunto sepolto e far entrare l’anima nella sua immagine ricostruita con foglie di palma poi trasportata in processione e deposta davanti al sacerdote per la benedizione la sera prima la cremazione, quindi viene tenuta una festa dai parenti con musica, danze, rappresentazioni del teatro tradizionale delle ombre e libagioni per gli invitati. Il mattino seguente in un clima di festa il feretro e l’effige vengono deposte su un catafalco di bambú che viene portata in processione sul luogo della cremazione, cercando di disorientare gli spiriti maligni con giravolte e repentini movimenti, poi il defunto è posto in un feretro a forma di toro, vacca o leone, a seconda del sesso, posizione e casta del trapassato; bruciando il tutto tutto per disperdere e le ceneri in mare con una cerimonia. L’ intero cerimoniale deve essere poi ripetuto quarantadue giorni dopo con la salma sostituita da una sua raffigurazione e solo allora la famiglia potrà essere certa che l’anima è definitivamente trapassata e che si reincarnerà nel futuro in un essere vivente più o meno superiore a seconda del suo comportamento in vita nella tradizione del Karma hindu.
Le cerimonie
In questo fantastico mondo di divinità, spiriti, antenati e celebrazioni le cerimonie costituiscono l’ essenza stessa dell’ esistenza dei balinesi, tra le più importanti e suggestive l’odalan, preparata accuratamente con molto anticipo decorando il tempio da composizioni floreali, ombrelli e vessilli rituali. Il giomo della celebrazione, arrivano gli abitanti dei villaggi della zona con i loro costumi tradizionali e le donne recano sul capo composizioni di frutta e fiori per le offerte da disporre ordinatamente nel tempio, mentre gli uomini preparano le cibarie per i festeggiamenti. Il pomeriggio è dedicato alle preghiere collettive per la comunità e il sacerdote più venerabile del tempio consacra le offerte alle divinità per farle entrare nelle immagini sacre, poi portate in processione verso il mare o il fiume piú vicino, dove sono immerse ritualmente prima di ricondurle al villaggio. Mentre la cerimonia continua per tutta la notte; i sacerdoti stregoni entrano in trance per comunicare con le divinità e capire se le offerte sono state gradite, interpretando il loro influsso benevolo sulla comunità e solo all’alba la cerimonia culmina con l’ antichissima adorazione del sole nascente. All’ equinozio di primavera si celebra l’ altra grande cerimonia del Nyepi per scacciare i demoni e gli spiriti malvagi dalla comunità ed iniziare un nuovo anno prospero e pacifico. Nell’ ultimo giorno dell’anno che finisce si fanno combattere i galli al mattino, nel pomeriggio vengono deposte le offerte propiziatorie alle divinità e gli antenati e per esorcizzare gli spiriti maligni sugli altarini dei crocevia, mentre i sacerdoti praticano riti e incantesimi. Quindi vengono consegnati un nuovo fuoco, acqua santa e amuleti ai capi famiglia per il nuovo anno che sta per cominciare e l’ intero villaggio passa la notte a rumoreggiare per scacciare i demonie gli spiriti malvagi. Il giorno dopo si celebra la festa di Nyepi nella pace assoluta,.tutti devono rimanere in casa, nessuno può lavorare né accendere fuochi o luci.
I balinesia riposano per una settimana prima e una dopo i dieci giorni di Galungan e Kuningan, durante i quali gli spiriti degli antenati ritornano alle case dei parenti accolti dalle offerte nei templi domestici, dei clan e in quelli dei defunti, con cerimonie accompagnate da feste, musica, spettacoli, danze e vivaci processioni in grande allegria. Se le cerimonie sono l’ essenza della vita dei balinesi, l’ arte, la musica, il teatro e la danza ne sono l’ insostituibile complemento, tradizionalmente ogni casa, i tempio, palazzo ed edificio pubblico era decorato con raffinate sculture in legno o in pietra, dipinti che raffiguravano leggende e le grandi epiche hindu del Ramayana e del Mahabharata.
Negli anni venti alcuni artisti europei scoprirono la màgia dell’ Isola degli Dèi, come il pittore belga Adrien Le Majeur che vi si stabili sposando una ragazza del luogo, così gli artisti prima e i visitatori occidentali che li seguirono poi, influenzarono gli abili ed anonimi artisti balinesi che cominciarono a modificare gli stili più tradizionali per vendere le loro opere richieste dai nuovi venuti, soprattutto la pittura cominciò a ritrarre scene di vita quotidiana e divenne naif agli occhi occidentali. Poi le esigenze commerciali nate dal turismo di massa hanno portato ad un artigianato povero e ripetitivo, pur rimanendo artisti con opere di notevole rilievo estetico, ma sempre più rare. Mentre l’ artigianato in legno è stato quello più influenzato dal mercato turistico, rimane pregevole la produzione in metallo di monili tradizionali, i i sacri pugnali dalla lama ondulata resellati kris, gli strumenti delle orchestre gamelan, mentre ormai sono pochi i villaggi dove le donne tessono le elaboratissime stoffe come i gringsing di Tenganan, a trama e ordito annodati, e i broccati di KIungkung, intessuti d’oro e d’argento.
La musica, la danza, e le rappresentazioni mitologiche fanno parte di ogni cerimonia e celebrazione, a comiciare dal popolare teatro delle ombre wayang kulit, le cui storie sono le versioni balinesi della grande epica hindu, rappresentate con marionette di cuoio sottile dipinte e decorate, i cui profili vengono proiettati su uno schermo con una lampada. ll burattinaio dalang fa offerte prima di ogni rappresentazione, che a volte dura un’ intera notte, recitando formulei magiche quando toglie le marionette dalle loro scatole. Anche le rappresentazioni tetrali del wayang wong si basano sugli stessi temi del wayang kulit, con racconti epici accompagnate dalla musica wayang in cui, al posto delle marionette, attori mascherati interpretano nobili principi, demoni e sovrani delle tenebre che si combattonoi nella perpetua lotta tra il bene e il male, a volte alcune tragedie mitologiche sono recitati nell’ antica lingua nobile kawi. Ogni rappresentazione è accompaganta dall’ orchestra tradizionale gamelan con musica dalla scala a cinque di toni, molto più vivace di quella giavanese, formata da tamburi, gong, campanelle, cembali, xìlofoni, vibrafoni, flauti e violini, strumenti decorati con pregevoli intagli e foglie d’oro.Il celebre Barong è un rituale esorcistico, sintesi di musica, danza e teatro epico che narra le gesta di ChaIonarang.rappresentante delle forze del bene assistite dal Barong , grande maschera cinese raffigurante un leone manovrata da due uomini, mentre Rangda rappresenta le forze del male , raffigurata da un’orribile maschera di vecchia strega che cerca sconfiggere le forze del bene. Un continuo alternarsi di vittorie del Bene sul Male e viceversa, poi i danzatori della strega Rangda entrano in trance rivolgendo contro se stessi i propri pugnali kris in una drammatica dimostrazione di religioso disprezzo per la vita e per il dolore fisico, il Male sembra sconfitto, ma essi ne escono miracolosamente illesi e l’ eterno combattimento senza fine continua. Il Kecak, rappresenta le scene del Ramayana quando l’eroe assalito dai demoni viene salvato dalle scimmie, la coreografia è di grande suggestione con gli attori al centro di un grande coro maschile che accompagna spettacolo cantilenando continuamente le parole kecak, kecak.,trasformandosi infine negli eserciti delle scimmie e dei demoni che si affrontano ondeggiando come qull’ eterno conflitto dall’ epilogo ignoto tra Bene e Male.La tradizione balinese possiede un’ incredibile varietà di danze legate alle cerimonie e i diversi culti dei templi, tra le più suggestive la danze dei guerrieri bari, quella in processione in onore delle fanciulle nubili del villaggio reiang, le danze femminili delle offerte gabor e il mendet. Tra tutte la raffinata danza legong , eseguita da due fanciulle in costumi preziosi che narra la storia di una principessa rapita da un principe e salvata dal suo fidanzato, forse è una delle migliori sintesi di quell’ equilibrio dello spirito con il corpo alla base della tradizione spirituale balinese, mirabile grazia nei movimenti perfetti delle dita, mani, braccia, spalle e occhi in una armonia espressiva con i piedi, il corpo e la testa Tutto a Bali ha un senso recondito che affonda in tradizioni millenarie che nè la storia, nè la travolgente avanzata di un mondo lontano e tanto diverso sono riusciti a scalfire come altrove, ogni cosa o azione ha un suo posto preciso e una sua ragion d’ essere in quell’ equilibrio che fonda l’ Universo, dove il sovrannaturale si confonde con la realtà nell’ Isola degli Dèi
Photo gallery: Indonesia