Sulawesi
L’isola Sulawesi, o Celebes, è una delle maggiori dell’arcipelago indonesiano con quasi 500 mila chilometri quadrati e circa 3500 chilometri di coste, divisa nelle tre grandi penisole Beni, Tomini e Tele, circondata dalla barriera corallina che ha impedito nel passato lo sbarco di grosse navi e l’interno caratterizzato da massicci vulcanici, è stata a lungo isolata anche per la rinomata ferocia delle tribu’ che ancora la popolano.
Isola di Sulawesi: popolazione
La parte è abitata da una popolazione del gruppo Alfuri-Papua, simile a quello delle vicine Molucche e Nuova Guinea, tutto il resto dell’isola è abitato da tribù del gruppo Malese e piccole comunità tribali Veddidi primitivi, come i Toala, che vivono di caccia e raccolta nell’interno della foresta. La popolazione Toraja possiede un’ organizzazione sociale e culturale più evoluta che ha influenzato le altre, appartiene al gruppo paleomalese, probabilmente il primo che ha popolato Sulawesi in epoche remote. Sono divisi nei Torajai Orientali con le tribù Pu-Umboto, Po so e Towana e Occidentali con quelle Rampi, Koro, Kulawi, Pakuli, Pakawa, Sidji e Kaili, vi è anche il piccolo gruppo meridionale delle tribù Pada-Seki, Rongkong, Manudju, Sadan e Mamasa.
Le tribù più isolate, e quelle che hanno maggiormente conservato cultura e tradizioni, sono quelle che vivono nei villaggi tra i monti Klabat e Lompobatang, fino a pochissimo tempo fa una regione quasi inaccessibile.
Le abitazioni tipiche Sulawesi
Le abitazioni son alte case di legno, bambù e paglia, con il tetto dalla curiosa forma di grande barca rovesciata, ricordo di quando popolavano le coste, poi spinti nelle zone più inaccessibili dell’isola dall’invasione islamica e le case sono edificate con la tecnica di costruzione delle barche con vari settori che ricordano lo scafo con poppa, prua, chiglia e il resto. L’ impalcatura è formata da alti pali di legno, spesso intagliati con motivi magico-religiosi, sui quali poggia un ampio vano collettivo al quale si accede con una lunga scala, ognuna è abitata da più famiglie dello stesso clan, e tutte le abitazioni sono disposte ai lati di una via centrale dove avvengono gran parte delle molte cerimonie tribali.
Società Toradja
La società Toradja è divisa in due classi sociali ben differenziate, la nobile “Puangs” e la servile “Kaunans”, derivante dall’antica struttura sociale di questo popolo di guerrieri nella quale i Kaunans erano schiavi dominati dalla casta superiore discendente dagli antenati che giunsero a Sulawesi, divisione presente in parte anche presso le altre popolazioni tradizionali dell’ isola. Nel passato i Toradja crearono piccoli ma potenti principati che raccoglievano più villaggi in conflitto tra loro e il più potente era costituito dalle circa venti tribù di lingua Barele che popola l’area orientale nella zona del lago Poso.
Fino a poco tempo fa avevano una nettissima divisione di compiti che aveva prodotto delle “caste” di specialisti e una di tali caste era quella dei guerrieri “cacciatori di teste” il cui dovere era unicamente quello di annientare i nemici e fornire magicamente prosperità alla tribù offrendo l’energia vitale contenuta nelle loro teste alla collettività; sotto la protezione dei potenti spiriti degli antenati che ancora vengono adorati con appositi templi decorati con motivi sessuali e, a volte, con i teschi dei nemici uccisi.
La morte che dà la vita
La società tradizionale Toradja è dominata dal concetto magico-religioso della “morte che dà la vita” e nessuno viene dichiarato definitivamente defunto se prima non trascorre un periodo durante il quale “l’energia vitale” si libera a beneficio dell’intera collettività. L’ individuo possiede due forze, spesso in conflitto tra loro, quella vitale che ne determina la personalità e l’energia e quella della morte che inevitabilmente lo conduce alla fine del suo corpo fisico, ma permette all’energia vitale di liberarsi.
Questo concetto è alla base della tradizione che riveste ancora un ruolo essenziale e anche il capo del villaggio viene scelto sempre in base al suo valore, alle qualità di comando, alla sua generosità, ma soprattutto in base alla sua profonda conoscenza della tradizione, perché solo così egli può prendere decisioni che gli vengono suggerite direttamente dagli antenati.
Spiritualità
Vi è un “Universo Superiore“, rappresentato dal giorno, la vita, il bene e l’elemento maschile; un “Universo sotterraneo“, rappresentato dalla notte, la morte, il male e l’elemento femminile, ma gli elementi del primo possono essere contenuti nel secondo e viceversa, sempre equilibrio di due forze contrastanti e tutto simboleggia tale “realtà bipolare”, come il villaggio che rappresenta il bene e la giungla il male, sempre in equilibrio tra loro.
Per tale concezione spirituale, i Toraja possiedono un grande complesso di ritualità necessarie ad interpretare gli elementi dì questa dinamica delle forze opposte, anche il riso ha un’anima che fa parte dell’Universo Superiore e ogni anno viene celebrata una grande festa in onore dello spirito benigno del riso, durante la quale ne viene rappresentato il ciclo vitale con canti, danze e cerimonie.
Riti e sacrifici
Anche il bufalo ha uno spirito benefico e il suo sacrificio permette a tale forza di liberarsi e influire positivamente sulla tribù, vi sono varie occasioni per sacrificare i bufali, ma quella che assume l’aspetto più impressionante per il numero degli animali uccisi e per il fervore che accompagna il sacrificio è quando muore un capo. Un tempo venivano sacrificati anche i prigionieri e il sangue che spruzzava dalle teste tagliate si mescolavano con quello dei bufali uccisi in un rito cruento, ma necessario, per celebrare la continuità della vita.
Il sacrificio dei bufali serve a trasmettere energia vitale alla tribù e al successore del capo defunto, ma il capo rimane ancora a lungo nella propria abitazione e poi i personaggi di più alto rango portano fuori il corpo avvolto in una coperta, lo lanciano più volte in aria e lo stendono al suolo con i piedi rivolti al “Mondo Superiore Puya” e dichiarano che il capo è morto ed è pronto per la sepoltura.
Viene quindi portato nel cimitero fuori dal villaggio e posto in una nicchia scavata in una parete rocciosa dove sono sepolti i suoi antenati, la nicchia è chiusa dai “tau-tau“, statue di legno che raffigurano i defunti vestiti degli abiti più sontuosi ed ad ogni nuova sepoltura ne viene aggiunta una nuova, cosi che la parete si presenta con tante “finestre” dalle quali si affacciano queste statue come personaggi enigmatici dallo sguardo perso nel vuoto che vigilano, con la loro forza vitale sul popolo Toradja che continua la sua ancestrale esistenza tra i monti dell’interno di Sulawesi.