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Diaccia Botrona e Castiglione della Pescaia

Diaccia Botrona: riserva naturale della Maremma

Lago Prile

Il nostro breve viaggio comincia da Castiglione della Pescaia per un motivo molto semplice, il suo nome. La Pescaia era l’enorme lago salato che si estendeva ai suoi piedi. Anticamente chiamato Prile il lago era chiuso al mare da un lembo di terra che il mare stesso aveva lentamente formato trasportando gli inerti del fiume Ombrone. A nord est finiva per lambire le colline che racchiudono la pianura di Grosseto. Riconosciuta nel 1991 dalla Convenzione di Ramsar come zona umida di rilevanza internazionale, l’area residuale del territorio paludoso, ora denominato Diaccia Botrona, è stata istituita come riserva naturale nel 1996.
Diaccia botrona
Veduta da postazione di avvistamento
I suoi 1273 ettari, di cui 700 occupati dal padule, costituiscono un ecosistema delicato, inserito nel programma delle aree protette della provincia di Grosseto a tutela dei biotipi e della integrazione tra beni ambientale e turismo sostenibile. L’importanza di questo enorme bacino che fin dall’antichità fu sfruttato per l’allevamento ittico e la produzione del sale e che in età medievale costituì la peschiera per antonomasia della Toscana meridionale, si intuisce anche dal toponimo di Monte Pescali, un castello poco lontano da qui che so affaccia sulla pianura un tempo occupata dal lago Prile. La Diaccia Botrona è caratterizzata da un ricco ed eterogeneo patrimonio vegetale: dalle alghe alle tipiche essenze palustri, ai residui di preesistenti insediamenti arborei e a una fitta vegetazione di piante idrofile. Da sempre la vegetazione spontanea della palude, dai salicornieti ai limoneti, alle orchidee, è stata parte integrante dell’economia degli abitanti delle zone limitrofe. La raccolta delle piante, esercitata soprattutto dalle donne, ha caratterizzato l’attività delle popolazione che hanno sviluppato la loro esperienza artigiana nello sfruttamento della cannuccia, dei giunchi e della paglia. La caccia in padule era connaturata con la vita e l’economia degli abitanti, si svolgeva soprattutto lungo gli argini e non disdegnava l’uso delle trappole per la cattura di germani, beccacce e beccaccini. Un’altra form tipica della caccia in padule era quella esercitata dalle postazioni fisse, le botti immerse nell’acqua. Le postazioni venivano date in concessione dal Demanio a un cacciatore locale che poteva affittarle ai cacciatori di zone più lontane: lui stesso provvedeva ad accompagnarli con i barchini, le batane a chiglia piatta e a poppa squadrata o le venete dalla sagoma più lunga, barchini che servivano anche per la pesca soprattutto di anguille.

Lago Prile: testimonianze storiche

isola clodia diaccia botrona
Ruderi Isola Clodia

Isola Clodia

Del nome Prile, o Proelius, abbiamo una sicura testimonianza in un’arringa che Cicerone pronunciò a favore di un suo cliente, tale Milone, nella quale il celebre oratore cercava di mettere in cattiva luce la controparte, Clodio, facendo esplicito riferimento ad una villa che questi si sarebbe fatto costruire occupando abusivamente un terreno di un terzo, un cavaliere romano, proprio sull’isoletta in mezzo al lago Prile. Che fosse questa la piccola isola in mezzo al lago su cui Clodio fece costruire la propria villa abusiva è un po’ incerto ma le caratteristiche topografiche del luogo lo fanno pensare. Le vicende che seguirono la caduta dell’impero Romano vedono questo luogo passare sotto il controllo dei Duchi Longobardi di Chiusi e poi del monastero di Sant’Antimo in Val d’Orcia che cerca di tutelare il proprio patrimonio in maremma facendo costruire sulle rovine della villa Clodia un’abbazia, l’abbazia di San Pancrazio al Fango. Proprio per l’importanza strategica che assumeva allora il controllo della produzione del sale, sul monastero gravarono parecchi interessi: prima di tutto quello dei Lombardi, uomini liberi in armi dei castelli vicini, soprattutto quelli dei Buriano e poi i vescovi di Roselle, il comune di Pisa che insediò un presidio militare e poi Siena, Firenze di Cosimo I, gli Appiani di Piombino e i Cavalieri di Santo Stefano.

Avifauna alla Diaccia Botrona

uccelli palude riserva diaccia botrona
Uccelli nella riserva della Diaccia Botrona (Qui una garzetta)
Dagli insetti agli anfibi come la raganella italica, ai rettili come la testuggine palustre, ai pesci come la spigola, il muggine o la gambusia, qui introdotta proprio per il controllo delle larve delle zanzare, sono numerosissime le specie animali che trovano nel padule l’habitat ideale per lo stanziamento o il passaggio. La componente più interessante e spettacolare è comunque rappresentata dall’avifauna con l’avvicendamento nell’arco dell’anno delle quasi duecento specie, ottanta delle quali nidificano tra le ampie distese d’acqua bassa o nella pineta ai margini della zona umida. È questa una delle poche pinete in Italia che si autoriproduce e che insiste su una duna sabbiosa ricca di specie mediterranee e con un nucleo residuo di piante idrofile come l’olmo e il frassino o la tamerice. È sicuramente l’inverno la stagione più ricca di presenze tra anatre, oche selvatiche, tuffetti, cormorani, germani reali, alzavole, mestoloni, folaghe, pettegole, pavoncelle, ballerine e il martin pescatore ma già dall’autunno si può ammirare l’elegante volo dell’airone cinerino o dell’airone bianco spesso rilevato in compagnia delle garzette. Oppure librarsi minaccioso nel suo territorio di caccia, qual è il falco di palude, o quello morbido dei fenicotteri, una prerogativa diffusa in ogni periodo dell’anno che nobilita il paesaggio lacustre. La temibile epidemia di peste nera del 1348 e la decisione senese di ampliare enormemente le terre destinate a pascolo determinarono l’abbandono di quest’area. Mentre si diffondeva la malaria questo luogo diventava sempre più pericoloso e inospitale. E la lingua di acqua salata si trasformava in uno stagno d’acqua malsana.

La Casa Rossa di Castiglione della Pescaia

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Casa Rossa a Castiglione della Pescaia

Casa Ximenes

Fu solo dalla seconda metà del 1700 che iniziò un vero e proprio programma di bonifica. Pietro Leopoldo di Lorena e il matematico gesuita Leonardo Ximenes, che era il direttore dell’ufficio dei fossi, cominciarono da qui: Ximenes fece costruire la Casa Rossa , uno splendido esempio d’architettura funzionale che poi è diventato il simbolo di quest’area e della sua storia. La Casa Rossa doveva essere una specie di dogana delle acque per regolare il loro flusso e deflusso per mantenere alto il livello del lago e impedire in sostanza la stagnazione. In realtà fu un fallimento e Ximenes cadde in disgrazia e fu sostituito dal matematico Pietro Ferroni. Tuttavia il progetto di bonifica per colmata, cioè con l’immissione delle acque torbide dell’Ombrone, la loro canalizzazione e il conseguente deposito degli inerti fu ripreso nell’800 da Leopoldo II di Lorena.

Diaccia Botrona: la bonifica

Per anni generazioni di uomini che stagionalmente scendevano in Maremma per la bonifica si sono avvicendati nei lavori di sterro, cioè l’escavazione del fondo dei canali, il trasporto dei materiali con le carrette e le barelle e il conseguente consolidamento degli argini, oppure per la netta, la manutenzione della sponda del canale. Uomini sfiniti dalla fatica, malnutriti che dormivano nelle capanne e che si ammalavano di malaria e che per tutto questo spesso morivano. Anche con Leopoldo II, che i maremmani hanno sempre affettuosamente chiamato Canapone per via dei suoi capelli biondi, non si riuscì a colmare l’intero invaso. Tuttavia i lavori diretti dall’ingegnere Alessandro Manetti con la costruzione di un nuovo canale diversivo a monte del padule e il riordino dell’area di un sistema di canalizzazione arginatura e case di colmata creò i presupposti per gli interventi di chi gli sarebbe succeduto. I lavori andarono molto a rilento fino alla scoppio della prima guerra mondiale ma dalla fine del conflitto agli anni ’50 furono ripresi in modo sistematico. Fu ricostruito il primo canale diversivo, fu completata l’escavazione della Bruna e soprattutto furono introdotte tecniche di scolo più efficaci e moderne con l’uso di macchine idrovore. castiglione pescaia storia parco della maremma La storia della Maremma, della Maremma amara, della lotta tra l’uomo e la natura, una lotta fatta di fatica, di dolore e spesso di morte, finì per sempre. Ci restano queste testimonianze, questo patrimonio di storia, queste bellezze, e ci resta un ecosistema unico, una banca genetica di biodiversità, specie animali e vegetali in perfetto equilibrio. [spacer color=”66a5e3″ icon=”fa-flickr”] Video realizzato da Luca Posarelli – motion137 Videomaker Foto realizzate da Federico Marano

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