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Le vie degli schiavi

Sulle rotte dei negrieri dal Senegal al Golfo di Guinea

Con una ventina di minuti in battello da Dakar si raggiunge Gorée,l’isoletta vulcanica al largo della capitale senegalese dove la domenica sbarca una folla variopinta che va a trascorrere una giornata di svago lontano dal caos di una città cresciuta troppo in fretta, un luogo per una gita a buon mercato, ma tutti ricordano che è anche il simbolo di un lungo e drammatico capitolo di storia africana scritto sulla pelle dei loro antenati.Gli olandesi la chiamarono “buona rada” goe reed, ma per gli equipaggi europei era semplicemente “la gioiosa”, dove potevano abbandonarsi a divertimenti ed orge in attesa che le loro navi caricassero uomini, donne e bambini strappati ai loro villaggi,per mandarli oltre l’ Atlantico nelle colonie che stavano “civilizzando il Nuovo Mondo.La testimonianza più allucinante di quel periodo è la “casa degli schiavi”, un edificio costruito nel 1776 per rendere più funzionale lo smistamento e l’imbarco dei neri, una scalinata conduce ad una veranda sotto la quale avvenivano le prime contrattazioni all’ingrosso, il piano superiore era occupato dai guardiani e quello inferiore diviso in piccole celle buie ed umide dove veniva stipato il maggior numero possibile di disgraziati secondo un metodo studiato razionalmente per risparmiare spazio.Del resto era il “Secolo dei Lumi” e del razionalismo e gli architetti sapevano interpretare le esigenze degli edifici ispirandosi alla maggiore funzionalità possibile,prevedendo anche una “cella dell’ingrasso”, dove gli schiavi venivano ingozzati come oche per aumentarne il peso e valore, un’apertura sull’ oceano era la “razionale”soluzione per i malati o i ribelli indomabili che venivano buttati legati direttamente in mare.L’allucinante architettura di questo museo degli orrori viene spiegata quotidianamente dal vecchio custode ai gruppi di neri che per un po’ cercano una memoria storica ormai assopita e a qualche turista bianco che forse si imbarazza agli elenchi dei misfatti della sua razza da queste parti.Il resto dell’isola è occupato da palazzi coloniali, casette dipinte e fortificazioni fatiscenti, sul colle meridionale i vecchi fortini francesi vanno in rovina e nessuno si preoccupa di restaurarli, quello era un posto sacro che i bianchi hanno violato, come hanno fatto dappertutto in Africa, vi risiede lo spirito protettore Mama Cumba invocato per tre secoli dai neri in catene stipati nelle stive come ultimo ricordo della loro terra e che è rimasto nelle tradizioni e i canti d’oltre oceano.La tragedia nei neri africani fu la conseguenza di quella degli indigeni del Nuovo Mondo non si dimostrarono adatti alla schiavitù nelle piantagioni e nelle miniere, così il loro sterminio continuò e furono sostituiti dai più solidi africani, iniziò il colossale affare della tratta dei neri che condizionò gran parte dell’economia mondiale dell’epoca moderna fino alle soglie di quella contemporanea.Cominciarono i portoghesi, primi esploratori delle coste africane, poi la cattolicissima Spagna ne prese il monopolio per le sue grandi colonie oltre oceano,ma la “domanda” divenne così alta che concesse permessi asientos per il trasporto ai vascelli portoghesi, olandesi,francesi e britannici.Il traffico assunse proporzioni enormi e il sistema mercantile europeo si organizzò in grandi compagnie commerciali con finanziamenti bancari ed emissione di titoli, la “rivoluzione” capitalista deve molto del suo successo allo schiavismo.La tratta divenne un affare troppo importante per lasciare la razzia dei villaggi a qualche tribù costiera o avventurieri bianchi poco organizzati, così gli insediamenti europei sulle coste occidentali si moltiplicarono,dai più antichi portoghesi in Ghana fin dal XV secolo ai successivi olandesi che li contesero, poi i britannici in Gambia e nel Golfo di Guinea e i francesi in Senegal dove fondarono St.Louis.Dal piccolo centro costiero si poteva risalire il fiume Senegal e penetrare per cinquecento chilometri nell’interno alla ricerca di villaggi da razziare, ma i risultati non furono apprezzabili per la scarsità di popolazione e l’ostilità delle tribù dominate dai Toucoleurs, con la loro organizzazione tradizionale in caste sulle quali domina quella dei “Coloro-che-pregano” Tarobè, grandi proprietari, commercianti e funzionari musulmani discendenti dalla nobiltà dell’ antico regno Trokur che trafficò con i primi negrieri francesi di St.Louis.Nella gerarchia tradizionale Toucoleurs seguono gli agricoltori-guerrieri Sobbé, contro i quali si scontrarono i razziatori europei e la loro manovalanza indigena, quindi i pescatori Subaldé e i contadini o artigiani Diawambé che ne furono le più facili prede.Sulla pista lungo il fiume Senegal verso l’ interno la via dei negrieri penetrava nel territorio dei Fulbé, la grande popolazione di fieri allevatori guerrieri islamizzati che impedirono a lungo la penetrazione delle bande di razziatori e ne limitarono le incursioni nelle zone più accessibili, se ne incontra ancora qualche nobile cavaliere armato di spada con i suoi servi, come fantasmi sopravvissuti di un medioevo africano e di una cultura travolti da una storia alla quale non appartenevano.Procedendo sulle rotte dei razziatori si entra nella regione del Ferlo, dove gli europei si affidavano a bande di predoni locali o tribù ostili tra loro per acquistarne i prigionieri da vendere come schiavi, una vasta regione semidesertica popolata da nomadi Pehul che si spostano alla ricerca di pozzi e pascoli verso sud,spinti dall’inesorabile avanzata del deserto nei loro territori tradizionali.

Nelle zone più isolate del Ferlo e lungo i confini con la Mauritania, lo schiavismo è una piaga secolare, ben più antica delle razzie europee, così radicata nella tradizione delle popolazioni islamizzate che ancora è lungi dall’essere estirpata, all’ inizio degli anni ottanta in Mauritania l’ ONU stimava almeno centomila schiavi e otre trecentomila persone di tutte le età in condizione servile, la mancanza di fondi per “indennizzare” i proprietari e procedere all’ abolizione della schiavitù richiese l’intervento della Banca Mondiale, come per un normale programma di cooperazione con i paesi in via di sviluppo.Solo recentemente la schiavitù é stata dichiarata illegale in Mauritania, ma il controllo dell’ infame commercio è molto difficile da queste parti e ad esso si è aggiunto quello verso i centri urbani dei paesi limitrofi, soprattutto bambine da avviare alla prostituzione nei bordelli cittadini e richieste dai ricchi mercanti arabi. Viaggiando in questa zona del Sahel non é raro incrociare turpi personaggi che si aggirano tra i villaggi più poveri per comprare ragazzini a famiglie disgraziate senza nessuna assistenza che non sanno come nutrire i figli ,in quest’ Africa martoriata le “vie dei negrieri” non sono solo un ricordo antico.Dalla Mauritania meridionale e il Ferlo senegalese, gli itinerari dei razziatori scendevano verso il Senegal centrale, dove domina la coltivazione delle arachidi imposta nel periodo coloniale e proseguita con gli investimenti europei, una monocultura che ha impedito lo sviluppo dell’ agricoltura più redditizia per le popolazioni locali, è’ la regione più islamizzata del paese con il grande santuario musulmano di Touba.A ovest si stende la lunga costa che da Dakar al Gambia e che fu una delle”riserve” per i negrieri, i villaggi dei pescatori Lebou e Serere subirono una razzia così intensa da provocarne lo spopolamento in pochi decenni tra il XVII e il XVIII secolo, più a sud si trova il delta del Seloum, un dedalo di isolotti tropicali dalla straordinaria varietà di uccelli acquatici che fu una delle basi più importanti per le razzie nell’interno. Risalendo il fiume si raggiungono i villaggi dei Niominka e di qualche gruppo Mandinga Sole e Diola, tutte popolazioni che ebbero la disgrazia di avere un’ ottima costituzione fisica e di vivere in un territorio facilmente accessibile tra gli insediamenti francese ed inglese e delle razzie di entrambe che li decimarono.Continuando sull’itinerario tra le “riserve” dei negrieri si entra in Gambia, striscia di territorio tropicale lungo il fiume omonimo largo una quarantina di chilometri che separa la provincia della Casamance dal resto del Senegal, antico possedimento britannico incuneato nella colonia francese che ha prodotto una delle tante assurdità di geografia politica africana.Ambiente, popolazioni, cultura e tradizioni sono identici, i gendarmi di frontiera che controllano i documenti dalle due parti del confine sono entrambe Mandinga, tra loro parlano la lingua degli antenati, ma agli stranieri uno sa parlare solo inglese e l’altro francese.La regione è popolata dai Mandinga, la “merce” più pregiata per resistenza e costituzione fisica, richiestissima dai mercati del Nuovo Mondo ed “esportata” dalla fine del XVII secolo, quando gli inglesi si insediarono sulla James Island sulla foce del fiume dove poi edificarono la capitale Banjul, per le piantagioni degli Stati Uniti, il traffico più intenso cominciò quando i coloni si liberarono del dominio della madrepatria, proclamavano al mondo i “Diritti dell’Uomo” e fondavano la prima grande democrazia occidentale.Da queste parti Alex Haley ha cercato le sue “Radici” di nero americano e le ha trovate in un piccolo villaggio sul fiume dove forse ancora vivono i discendenti dell’antenato Kunta Kinte che fu portato in catene oltre l’ Atlantico.Tra il Gambia e la Casamance le vie dei negrieri sono numerose e si intrecciano nella foresta per i villaggi Mandinga, Balante, Baniouk, Mandiack e Diola razziati a lungo dalle bande che arrivavano all’improvviso come e ammazzavano quelli che si difendevano, radunavano la gente e separavano gli uomini dalle donne e i bambini per selezionare subito il carico ,poi li trascinavano incatenati a frustate verso la costa mentre i villaggi bruciavano e quelli che erano fuggiti guardavano da lontano portare via mariti, mogli, genitori e figli e andavano a nascondersi nella foresta più profonda.Lo raccontano le vecchie storie dei Diola, forse la popolazione che più delle altre è riuscita a conservare l’esistenza tradizionale, nei villaggi sparsi nell’entroterra tropicale l’ antica organizzazione degli antenati è rimasta intatta ,i capi delle famiglie e dei clan si riuniscono periodicamente per decidere i tempi delle semine e dei raccolti, la costruzione dei canali di irrigazione, delle piste nella foresta, delle abitazioni, il calendario delle feste e le cerimonie.Ogni clan vive nella grande capanna circolare collettiva hank, le abitazioni delle famiglie affacciano sulla corte aperta che raccoglie l’acqua piovana al centro e gran parte della vita in comune,le cerimonie e l’educazione si svolge in questo grande spazio protetto inventato da anonimi e geniali architetti antenati.La sera i giovani si riuniscono attorno agli anziani che raccontano le antiche leggende e le storie del clan, sanno andare a ritroso con la memoria nella storia Diola e ne ricordano tutte le generazioni, fino a risalire all’ antenato mitico dell’epoca nella quale gli uomini si confondevano con le divinità e con gli animali e il mondo era in armonia.Quando c’è un ospite sondano la memoria per le leggende più belle e le cantilenano accompagnati da un’arpa per mescolare la parola con il suono, ma interrogati dallo straniero raccontano quelle terribili storie che strapparono gli antenati ai villaggi e i vecchi con i volti senza tempo parlano lasciando l’arpa perchè anche la musica rimane muta al dolore antico.Da qualche giorno è morto un parente e si celebra il rito funebre Niuku, tutto il clan danza e mangia accogliendo i vicini in visita mentre il defunto è esposto al pubblico, poi gli anziani lo interrogano sulle cause della sua morte, che può avvenire solo per volontà di uno spirito o di un malvagio, il morto risponde con oscillazioni prodotte da coloro che lo sorreggono e che solo i saggi sanno interpretare ed è sepolto con gli ornamenti del clan, migliaia di antenati sono morti in terre lontane, senza essere “interrogati” ,nè cerimonie nè onori, e i loro spiriti si sono persi cercando la strada del ritorno, come raccontano i vecchi la sera attorno al fuoco.Nella foresta di Ossuye vive isolato con le sue mogli e un cosigliere storpio il sovrano di tutti i Diola, depositario della tradizione orale tramandata per generazioni, capace di recitare tutte le vicende dei clan dalle origini, gli episodi, i fatti e i nomi di una storia mai scritta, concede udienza sotto il grande albero sacro indossando la tunica rossa e il copricapo regali stringendo il bastone simbolo dell’antica sapienza e risponde nell’ermetico linguaggio poetico della suprema saggezza senza mai rivolgersi direttamente all’interlocutore, il rango gli impone di parlare sempre attraverso il consigliere che traduce in buon francese.Lui conosce perfettamente la lingua dei bianchi, ma non la parla quando concede udienza, però apprezza di essere interrogato da uno straniero sugli antichi clan per risalire le nebbie della storia fino a quando l’ armonia fu sconvolta dai malvagi venuti dal mare.La tratta in questa regione assunse dimensioni tali da richiedere la costruzione di un altro centro di raccolta e smistamento nell’ isola di Karabane al largo dell’estuario del Casamance, qui la “casa degli schiavi” non è ben conservata come a Gorée, cade in rovina tra la vegetazione che l’ ha invasa poco fuori da un villaggio di pescatori dove é andato a vivere un pittore nero di Dakar, si dice molto corteggiato dai mercanti d’arte, ma lui se ne sta nella sua capanna a vendere tele naif solo a chi gli é simpatico e lo ascolta quando argomenta che Picasso e gli altri hanno imparato tutto dagli africani.Oltre la foresta di Guinea le vie dei negrieri continuavano e si ramificavano con le loro piste di dolore per penetrare ancora di più nella Costa degli Schiavi che si protende nell’Atlantico da quest’Africa che non ha rimarginato le sue ferite

La costa degli schiavi

La moderna cattedrale di Abidjan è un bell’ esempio di architettura contemporanea in Africa, le navate interne ascendono in una repentina ispirazione gotica illuminate dai colori delle lunghe finestre istoriate che illustrano bucoliche scene di vita africane, una rappresenta europei che sbarcano pacificamente accolti da neri felici dell’arrivo che ne salverà le anime primitive, ma nella loro ispirazione gli architetti hanno dimenticato che la Costa d’ Avorio fu parte di quella vasta zona che gli europei senza eufemismi battezzarono .Costa degli Schiavi dove, quando i bianchi sbarcavano la popolazione fuggiva terrorizzata.Un singolare,e forse inconsapevole, monumento alla menzogna che è il punto di partenza ideale per seguire quelle allucinanti “vie dei negrieri” nell’entroterra del Golfo di Guinea tra Costa d’Avorio, Ghana,Togo e Benin ,che per tre secoli fu solo la Costa degli Schiavi.Verso la fine del XVII secolo, l’ aumento della domanda di schiavi nel Nuovo Mondo e lo spopolamento delle precedenti zone di sfruttamento tra il Senegal e la Guinea, portò ad una massiccia intensificazione della tratta più a sud del Cabo Las Palmas lungo tutto il golfo fino al delta del Niger.Furono stabiliti trattati commerciali con i vecchi regni neri della regione, fornendo assistenza e merci di varia natura, soprattutto armi da fuoco con le quali potevano agevolmente assoggettare le varie popolazioni dell’ interno, razziare villaggi e fornire schiavi ai bianchi per lo scambio, oltre ai tradizionali oro e avorio.In breve si creò un vasto traffico commerciale dedito quasi esclusivamente alla tratta cui parteciparono i regni Ashanti del Ghana,Abomey tra Togo e Benin e Yoruba di Oyo in Nigeria, oltre a varie confederazioni tribali dedite allo schivismo che trasformarono la vecchia Costa d’Oro nella sinistra Costa degli Schiavi.All’epoca non esisteva Abidjan e la Costa d’Avorio, la zona era frequentata solo per commerciare avorio e altre merci con le tribù costiere dai primi insediamenti portoghesi del vicino Ghana con una vecchia pista che correva sul breve tratto di costa dove inizia la seconda parte del mio lungo itinerario sulle vie dei negrieriIn Ghana i portoghesi iniziarono a stabilirsi nel XV secolo favoriti dalla bolla di papa Eugenio IV nel 1443 che assegnò al regno lusitano tutti i territori compresi tra Capo Bajador e le Indie Orientali, con la benedizione di Santa Romana Chiesa cominciò la penetrazione europea in Africa e un secolo dopo il Golfo di Guinea divenne la regione più redditizia per la tratta degli schiavi.Lungo la costa del Ghana i portoghesi edificarono poderose fortezze come basi per commerciare con i regni neri dell’interno e per controllare le loro rotte che si spingevano sempre più a sud con le esplorazioni di Diego Cao, Bartolomeo Dias e Vasco de Gama ,prendendo possesso delle coste dalla Guinea all’Angola.Quando il traffico di schiavi divenne un colossale affare per l’economia europea alla fine del XVI secolo, le varie potenze si contesero la straordinaria posizione in Ghana e nelle vecchie fortezze portoghesi si succedettero olandesi, francesi e inglesi, ma per gli africani razziati nell’interno rimanevano sempre allucinanti luoghi di sofferenza e dolore.Le imponenti fortezze di Elmina e Golden Coast sono pregevoli esempi di architettura militare del XV secolo, emergono di massiccia eleganza tra l’entroterra tropicale e magnifiche spiagge sull’ oceano, ma nella loro suggestione racchiudono i loro “musei degli orrori” come tutti gli altri centri di raccolta degli schiavi in Africa, con le loro sinistre celle buie ed umide dove venivano stipati a centinaia i neri strappati ai villaggi, la stanza dove venivano ingrassati a forza per aumentarne il peso e il valore, i cuniculi attraverso cui erano spinti in catene a frustate per essere imbarcati, il locale per le punizioni e le torture che nel forte di Elmina era lo stesso dove veniva celebrata la messa per la guarnigione.Qui arrivava e ripartiva la via dei negrieri nell’ interno del Ghana aperta dai regni neri fioriti sul commercio di oro ,avorio e schiavi, razziavano i villaggi dentro e fuori i loro domini in bande invincibili con le armi da fuoco europee, seguivano le piste verso la costa trascinando in catene migliaia di sventurati e li vendevano ai bianchi nelle fortezze europee, rinnovando i trattati con i paesi che si succedevano nel loro possesso,ma per i quali comunque la “lingua franca” restava il denaro e la violenza.Il maggior interlocutore commerciale per la tratta in questa regione era il potente regno Ashanti e la via delle sue razzie per la costa era quella che attraversa il Ghana centro meridionale dall’antica capitale Kumasi che aveva un grande centro di raccolta degli schiavi.Gli Ashanti hanno perso da tempo il dominio sul Ghana, ma il loro sovrano Asantehene Otumfuo continua a risiedere nella reggia degli antenati con la sua pittoresca corte di Kumasi dove periodicamente si tengono le cerimonie Akwasidae a ricordo dell’ apogeo reale ,quando il sovrano accoglieva le delegazioni dei bianchi a ratificare gli accordi commerciali e a stipularne di nuovi.Sotto i sontuosi drappi e l’ ombrello regale il re siede circondato da cortigiani dagli abiti sgargianti e i monili d’oro della nobiltà, accanto siedono i consiglieri, i dignitari e gli anziani diretti dal Gran Linguista che parla a suo nome recando le insegne d’oro del potere.Attorno gli altri dignitari, i portatori delle spade cerimoniali e dei coltelli sacrificali, le guardie armate di alabarde e archibugi,i valletti che agitano piume di struzzo e i servi, i cortigiani, i capi clan e i visitatori stranieri sfilano con i loro doni minuziosamente elencati e descritti da un dignitario, mentre i vecchi cantastorie griot narrano le gesta della dinastia Ashanti accompagnati da antichi tamburi e trombe d’ avorio, poco distante le cortigiane danzano sensualmente e l’ anziana regina madre arriva seguita dalla sua corte femminile e dalle schiave.Una cerimonia sontuosa che si ripete identica da secoli, dall’ epoca del dominio assoluto sul Ghana e la sottomissione di tutte le popolazioni vicine, quando gli Ashanti fondavano il loro potere trafficando oro e schiavi con i bianchi in cambio di merci dalla lontana europa e di armi che li rendevano invincibili.Anche i funerali che vengono celebrati collettivamente si accompagnano a danze e cerimonie immutate nei secoli,nell’antica suggestione descritta dai primi visitatori europei e dei mercanti che arrivarono a stipulare i contratti per i commerci e la tratta degli schiavi per le colonie del Nuovo Mondo .Kumasi era collegata ai centri di Djenné,Gao e Timboctu nell’ impero del Mali con una pista carovaniera che attraversa la foresta tropicale per entrare nelle grandi savane del nord, adoperata anche dalle bande di razziatori per rifornirsi nelle zone più interne, lungo di essa sorsero piccoli centri carovanieri che continuano ad ostentare antiche moschee dalle morbide forme “neosudanesi”, ricordano la via della penetrazione dell’islam dal nord che,come poi quella cristiana dal sud, si accompagnava ai commerci e al traffico di schiavi.Seguendo vecchie piste, a nord del villaggio di Banda si entra in una delle regioni più isolate dell’ Africa occidentale dominata da inaccessibili massicci rocciosi dove sono sparsi i villaggi fortificati delle tribù Lobi, Gourunsi e Dagomba, spesso labirinti di passaggi,ingressi, scale e terrazze dove vivono le famiglie dello stesso clan, da secoli rifugiati nelle zone più inaccessibili per sfuggire alle razzie e ostili a contatti esterni, hanno conservato, gli antichi costumi e tradizioni, un complicato mondo di spiriti e forze sovrannaturali che solo gli sciamani con la loro magia sanno interpretare.Tra queste montagne é nascosta la grotta del misterioso Oracolo di Tongo venerato da tutte le tribù della regione e la cui potenza dette forza ai guerrieri dell’altipiano per resistere alle invasioni da nord e da sud, come raccontano orgogliosamente i depositari della tradizione.Qui musulmani o cristiani non sono riusciti ad arrivare e il misterioso universo degli spiriti è sopravvissuto con gli antenati che continuano a vegliare sui clan ,lontani da un mondo che non conoscono e che non hanno subito, ma forse non riusciranno a respingerlo dalle loro case di fango fortificate quando arriverà, si è già annunciato a qualche villaggio e se lo sta prendendo.Per arrampicarsi tra le rocce infuocate dal sole verso l’Oracolo di Tongo occorre essere accompagnati da uno sciamano del villaggio con il suo gruppetto di aiutanti e apprendisti stregoni,una grotta lunga e stretta si apre improvvisa sulla cima della collina, sul fondo un buco sprofonda nella terra e nella leggenda e da lì l’Oracolo si pronuncia, dopo il sacrificio di un pollo chi lo cerca si deve infilare in una stretta insenatura nella roccia,poi lo sciamano traduce le sue richieste e le grida nella buca e dalle profondità della terra arrivano parole lontane e indecifrabili che si spandono nell’aria e svelano il destino ,ma a volte anche lo sciamano non le sa interpretare e allora bisogna interrogare gli anziani.

Quando scende la notte nel villaggio c’è solo la luna a far luce, ne basta una falce che si stende sulla savana per trovare il sentiero che porta alla capanna del vecchio cieco depositario della tradizione orale di tutti i clan Dagomba che attende seduto sulla soglia con gli altri due saggi anziani che lo assistono.Il Grande Saggio dei Dagomba è così vecchio che parla solo l’antica lingua degli antenati, i due anziani la traducono allo sciamano e questi ne interpreta i versi all ‘interprete che a sua volta traduce in una delle lingue dei bianchi in un intrecciarsi di lingue e culture che continua a lungo sotto la luna del villaggio perso in una savana antica e lontana.Dalle suggestioni di uno degli ultimi lembi arcaici d’Africa, si riprende la vecchia pista del nord che supera il confine del Togo settentrionale e attraversa la savana del Kéran per entrare nel Benin, dove si stendeva il territorio dell’antico regno di Abomey, altro gran razziatore di villaggi che commerciò a lungo schiavi con gli europei.La regione settentrionale è popolata dai Somba Tayaba che da secoli si chiudono nelle loro grandi case fortificate tata, ognuna con il suo altare falliforme per i sacrifici davanti l’ ingresso , oltre il quale si accede alla stanza dei guerrieri, sempre pronti agli attacchi,c he precede quella delle donne e i bambini da proteggere.Tutto ricorda che i Somba furono costretti a difendersi dalle razzie degli spietati sgherri del potente regno di Abomey che dominava un vasto territorio dal Togo alla Nigeria e i cui sovrani erano considerati divinità dal potere assoluto che seminarono a lungo il terrore tra i villaggi con le armi da fuoco avute dai bianchi e un’armata ben organizzata.La guardia reale era formata da donne guerriere, temibili e spietate combattenti votate alla castità e all’ assoluta fedeltà al sovrano divino il cui regno era fondato sullo schiavismo più crudele ,come raccontano i fregi dei fatiscenti edifici dell’antica reggia e l’allucinante “muro sacro” costruito con il sangue di cinquemila schiavi sacrificati mescolato con argilla e polvere d’ oro.Le terrificanti razzie delle armate di Abomey insanguinarono a lungo il regno e i territori limitrofi, accompagnate a massacri e distruzioni di villaggi che decimarono la popolazione, con le armi da fuoco avute dai bianchi divennero invincibili e scatenarono violenti conflitti con tutti i vicini per procurarsi sempre più prigionieri da vendere agli europei che considerarono i sanguinari sovrani tra i migliori partners commerciali sulla Costa degli Schiavi.Da Abomey le lunghe file di neri razziati venivano spinti in catene sulla via che attraversa la foresta verso la costa attesi dai bianchi in un villaggio di pescatori che poi divenne un grande centro coloniale su cui sorse la capitale Cotonou.Poco distante da dove terminava questa pista di dolore e di sangue, nella zona lagunare di Nokwe riuscì a trovare rifugio una tribù Fon che sfuggì alle razzie sopravvivendo a lungo isolata nel grande villaggio su palafitte di Ganvié ,legando l’ esistenza alla grande laguna e da secoli gli abitanti ne hanno imparato tutti i segreti che si tramandano per generazioni e tutti possiedono piroghe e reti da pesca per partecipare all’attività vitale della comunità .

Photo Gallery Via degli Schiavi

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